Lo sfratto dei Goym di Pitigliano

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Questo mese il tema dell’MTChallenge non è un piatto ma un ingrediente: il miele. Eleonora e Michael, vincitori della scorsa sfida con la loro penicilina ebraica, hanno pensato di farci questo regalo.

Innegabile che il miele abbia un fascino tutto particolare. La sua produzione è avvolta da una magia che lega assieme api, ambiente e uomo in un triangolo misterioso e quasi metafisico.
La varietà e la ricchezza di mieli esistenti incuriosiscono e ispirano, ognuno con sapori e proprietà specifici, ognuno che rispecchia un preciso ecosistema, quello nel quale hanno vissuto le api operose che l’hanno prodotto.
E poi ci sono le sue proprietà benefiche, la mutevole consistenza che va dal fluido al cristallino, la viscosità densa che cola in morbidi nastri, il colore chiaro o ambrato, traslucido o denso, che ipnotizza e cattura, raccontando di mondi segreti e tempi sospesi.

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Nel post di Eleonora e Michael troverete tante informazioni utili su come utilizzare il miele in cucina: vi consiglio davvero di leggerlo, non troverete niente di scontato o banale.
Ho trovato molto ben fatto anche il sito a cura dell’Unione Nazionale Apicoltori, dove potrete togliervi tutte le curiosità sui vari tipi di miele e su prodotti meno conosciuti come il polline, il propoli o la pappa reale.
Per chi invece ama l’immediatezza, l’infografica di Daniela vi spiega in un colpo d’occhio come non sbagliare abbinamenti: praticamente un prontuario da appendere in cucina.

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Il problema di questa sfida è che si possono fare soltanto due ricette, una dolce e una salata. Ma io sono entrata in fissa, travolta da decine di idee, ognuna molto diversa dall’altra. Avevo praticamente deciso per una torta (che prima o poi, comunque, farò) e poi, non so come, mi sono ritrovata in tutt’altra direzione e ho capito che, per la sfida di Eleonora e Michael, era la ricetta giusta.
E anche per me. Perché parla di storia, di territorio, di tradizioni che si incontrano, si scontrano e poi si mescolano. Perché è un dolce semplice e basico, e perché il miele ha campo libero per essere valorizzato al meglio.

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Lo sfratto è un dolce di forma cilindrica, lungo 25-30 cm, formato da un guscio asciutto e da un ripieno a base di miele e noci. E’ un presidio Slow Food e non ne esiste una produzione industriale: potete acquistarlo soltanto in due piccoli forni nel borgo di Pitigliano, in Maremma.
La sua storia risale a diversi secoli fa, quando a Pitigliano esisteva una grande comunità ebraica, formatasi sin dal XVI secolo per via delle persecuzioni dei pontefici e di Cosimo II de’ Medici, che costrinsero la popolazione che viveva nelle città a ritirarsi in aree più marginali. Una delle aree di elezione naturali era la Maremma. Isolata, selvaggia, con ampi spazi e poca popolazione, sembrava un buon posto in cui vivere in tranquillità.
Ma all’inizio del XVII secolo, Cosimo II volle creare anche qui dei ghetti dove segregare gli ebrei; nella città di Pitigliano e nei borghi limitrofi le autorità passarono casa per casa, picchiando con dei bastoni sulle porte delle case degli ebrei, costringendoli a trasferirsi in un ghetto. Dopo circa un secolo, gli ebrei di Pitigliano, crearono questo dolce che ricorda un bastone proprio per ricordare questo doloroso episodio della loro storia: lo sfratto eseguito dai Goym (ovvero i non ebrei).

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Una delle prime versioni che ho trovato è quella di Silvia, che conosco e so essere molto in gamba, per cui non ho avuto dubbi ad affidarmi alla sua ricetta. Mi ha convinta subito perché parla di un dolce dall’involucro esterno friabile e quasi secco, e pertanto presumibilmente privo di uova. Il dolce che ricordo di aver assaggiato era proprio così, si frantuma quasi nel tagliarlo e il ripieno spesso se ne distacca, creando quelle bricioline che mi piace tanto raccogliere con le dita.
Altre ricette usano uova, burro e latte ma credo che siano aggiunte e modifiche successive, fatte per rendere il dolce più ricco, morbido e appetibile. Nella pagina di Slow Food dedicata allo sfratto, si citano soltanto farina, vino bianco e poco zucchero. Io ho messo anche un po’ d’olio nell’impasto e invece non l’ho usato per spennellare alla fine.

Nel ripieno la fanno da padroni le noci e il miele. Io ho scelto un miele di sulla, produzione tipicamente italiana e piuttosto difficile da trovare, che mi ha fornito babbo Claudio. La sulla è una pianta della famiglia delle leguminose che fiorisce tra maggio e giugno; viene coltivata come foraggio ma si trova anche in forme inselvatichite o spontanee.
E’ un miele che cristallizza piuttosto rapidamente, assumendo in questo processo un colore beige chiaro, quasi avorio. Il sapore è mediamente dolce, non troppo caratterizzato, con vaghi sentori vegetali e floreali, anche se per sentirli ci vuole un palato molto raffinato, che io temo di non avere.
L’ho scelto proprio perché non troppo invasivo: costituisce il 50% del ripieno e se fosse stato troppo dolce sarebbe risultato stucchevole, se troppo caratterizzato avrebbe alterato l’equilibrio complessivo dello sfratto.

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SFRATTO

Porzioni: 2 sfratti       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura: 20′ + 25′

Ingredienti

Per l’involucro

  • 150 g di farina 00
  • 30 g di zucchero semolato
  • 50 ml di vino bianco
  • 40 ml di olio extravergine di oliva
  • un pizzico di sale

Per il ripieno

  • 150 g di miele di sulla (o comunque un miele piuttosto dolce e non troppo aromatico)
  • 150 g di noci spezzettate grossolanamente
  • scorza di un’arancia
  • poca noce moscata
  • un cucchiaino di semi di anice pestati (facoltativo)

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Procedimento

In un pentolino dal fondo spesso fate cuocere il miele per circa 20 minuti, a fuoco molto basso. Verso la fine unite la noce moscata, la scorza d’arancio, i semi di anice e le noci. Rimestate e fate raffreddare.

Setacciate la farina, unite lo zucchero e il sale, poi versate il vino e l’olio e iniziate ad impastare con una forchetta. Procedete a mano, lavorando brevemente l’impasto sulla spianatoia. Avvolgete nella pellicola e fate riposare mezz’ora.

Nel frattempo, quando il composto di noci è un po’ raffreddato ma ancora non del tutto indurito, modellatelo con le mani unte di olio, formando due salsicciotti che appoggerete su un foglio di carta forno. Aiutatevi con la carta cercando di renderli più cilindrici che potete.

Dividete l’impasto a metà e stendetelo con il mattarello allo spessore di 2-3 mm, appoggiatevi sopra un cilindro di noci e avvolgetevi intorno la pasta. Se avete steso la pasta piuttosto spessa basterà fare un solo giro, facendo sovrapporre i bordi per chiuderla bene. Se invece la vostra sfoglia è molto sottile dovete fare due giri, altrimenti rischierà di rompersi. Chiudete le estremità del bastone eventualmente ritagliando la pasta in eccesso e sigillando bene i lembi.

Cuocete a 180°C per 25 minuti circa, fino a che la superficie non inizia a colorirsi. Far raffreddare, poi tagliate a tocchetti con un coltello dalla lama affilata.

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Con questa ricetta partecipo all’MTChallenge n. 54

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Florentins

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Fine anno, tempo di bilanci? O di bilance?
Nè l’una nè l’altro, in questi giorni voglio solo stare in pace. A tutto il resto penserò con il nuovo anno, domani, come diceva Rossella O’Hara, eroina della mia adolescenza.

In questi giorni mi va di essere spensierata – più che posso – stare con le amiche, con la famiglia, con me stessa.
Dopo anni, respiro di nuovo un po’ di quel clima vacanziero che caratterizza questo periodo quando siamo fanciulli e, anche se le mie ferie sono finite, mi piace godere del tempo libero come se fossi in vacanza, incontrando amici che non vedo da tempo e cucinando dolci delle feste.

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Questi deliziosi dolcetti sono fatti di mandorle croccanti, qualche candito e un velo di cioccolato fondente alla base.
Si chiamano Florentins, ma a Firenze (e oserei dire anche nel resto d’Italia) nessuno sa cosa siano. Sono invece diffusi due Paesi rinomati per la pasticceria e la qualità del cioccolato: Francia (in particolare in Bretagna, pare) e Belgio, dove ho avuto il piacere di assaggiarli questa estate.
La ragione di questo nome rimane ignota, se vogliamo ignorare la solita leggenda – applicata ormai a un’infinità di dessert – secondo la quale questo dolcetto fu creato da un pasticcere trasferitosi in Bretagna dopo anni di servizio presso la corte dei Medici.

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La prima volta che li ho fatti sono rimasta molto soddisfatta: croccanti e caramellati al punto giusto, senza essere troppo duri. La seconda volta, invece, li ho cotti troppo poco e sono rimasti un po’ molli, e questo non va bene! Almeno la parte esterna deve essere ben solidificata, quindi vi consiglio di fare qualche prova per stabilire i giusti tempi di cottura del vostro forno.

La ricetta è tratta dal numero di novembre 2014 de La Cucina Italiana.

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FLORENTINS

Dose: 10 pezzi grandi (7 cm diametro) o 20 piccoli (4 cm diametro)       Tempo di preparazione: 30 minuti + 1 ora e mezzo di riposo       Tempo di cottura: 15 + 8 minuti

Ingredienti

  • 100 g di panna fresca
  • 100 g di zucchero semolato
  • 120 g di mandorle a lamelle
  • 80 g di canditi misti (per me, arancia e cedro)
  • 30 g di miele
  • 1/2 bacca di vaniglia

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Procedimento

Scaldate la panna con lo zucchero, il miele e i semi di vaniglia a fuoco medio fino a raggiungere 118°C (io ho impiegato circa 15 minuti).
Versatevi le mandorle a lamelle e i canditi tagliati a pezzetti piccoli, mescolate e riempite il fondo di pirottini da muffin in silicone. Fate uno strato sottile solo pochi millimetri e livellate la superficie con il dorso di un cucchiaio.
Infornate a 180°C (ventilato) per 5-6 minuti se gli stampini sono piccoli e 8 minuti circa per gli stampini grandi. Le mandorle devono brunirsi ma senza bruciarsi.
Aspettate almeno un’ora prima di rimuovere dagli stampi.
Temperate il cioccolato (è un’operazione semplicissima, qui vi spiego tutto) e quando ha raggiunto la temperatura di 32°C circa intingetevi delicatamente il fondo dei florentin, fateli scolare un attimo e poggiateli capovolti su carta forno per farli asciugare.

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Cavallucci di Siena

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La ricetta dei cavallucci è semplicissima ma la prima volta che li ho fatti avevo dosi sballate e mi è rimasta la paura del fallimento. Così ho consultato la Patty, Aurelia e la zia Paola, che non ha un blog ma è comunque un’autorità in materia culinaria, pensando che ci fosse chissà quale segreto. Per poi capire che bastava avere la ricetta corretta.
Il risultato è ottimo nel sapore (si sono volatilizzati in men che non si dica…io vi consiglio doppia dose) e abbastanza buono nell’aspetto, anche se i cavallucci dovrebbero essere un po’ meno schiacciati, quasi tendenti alla forma cilindrica. La prossima volta basterà compattarli un po’ di più perché non si allarghino troppo in cottura.

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I cavallucci sono dolci tradizionali senesi che oggi si mangiano solo sotto Natale, ma che in passato erano ben più diffusi.
Gli ingredienti caratterizzanti sono canditi, noci e anice. Si possono aggiungere altre spezie che trovate nel testo della ricetta ma io li preferisco senza, per apprezzare al meglio il sapore di anice.

Sono dolci di una volta, un po’ fuori moda, ma mi piacciono moltissimo. Ricordo che erano la passione della mia nonna materna (la nonna Elia della quale conservo con amore la ricetta della mantovana) e quando ero piccola proprio non capivo cosa ci trovasse in questi tronchetti bitorzuoli e raggrinziti. Adesso li adoro, a patto che siano morbidi come devono essere, e non rinsecchiti dalla lunga permanenza nella dispensa.
Sul significato di questo mutamento di gusti, lascio a voi ogni considerazione.

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La preparazione è molto semplice, basta non far bollire troppo lo sciroppo di zucchero e lavorare il tutto piuttosto velocemente: in questo modo si eviterà che i cavallucci diventino duri e li potrete gustare al meglio.
A tal fine è utile la presenza di una piccola percentuale di miele, che li aiuta a mantenere una certa umidità.

L’origine del nome è, come sempre, incerta. Una delle ipotesi è che anticamente vi venisse impressa sopra l’immagine di un cavallino o del suo zoccolo, o forse era proprio la forma, con l’avvallamento centrale, che ricordava lo zoccolo equino. Anche per questo, forse, si pensa che fossero spesso consumati nelle stazioni di posta, laddove i viaggiatori si fermavano per rifocillarsi e far riposare i cavalli (fonte: www.nicolanatili.it).

In origine dovevano essere molto più semplici della versione che conosciamo oggi: niente noci e canditi, solo farina, miele e zucchero. E anice, ovviamente. Si sono arricchiti nel corso dei secoli, per incontrare i gusti sempre più esigenti della borghesia e con il tempo ne fu creata una versione di grandi dimensioni, i cosiddetti berriquocoli.

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CAVALLUCCI DI SIENA

Dosi: 8-9 cavallucci       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 15 minuti

Ingredienti

  • 220 g di farina 00
  • 115 g di zucchero
  • 15 g di miele
  • 70 g di noci sgusciate
  • 40 di arancia e cedro canditi
  • 80 ml di acqua
  • 5 g di ammoniaca per dolci
  • 1 cucchiaino raso di semi di anice
  • 4 g di spezie miste (noce moscata, coriandolo, cannella)
  • zucchero a velo e farina q.b.

Procedimento

Pestate finemente i semi di anice.
Mescolate la farina con le noci spezzettate, i canditi, l’ammoniaca, l’anice e le altre spezie.
In un pentolino, fate sciogliere lo zucchero e il miele con l’acqua, portate a 120° (una volta sciolti, basterà far bollire la soluzione per un paio di minuti circa, fino a quando le bollicine non diventano piccole) e versate sulla miscela di farina. Impastate velocemente e formate un lungo salsicciotto del diametro di 5 cm circa.
Tagliatelo in cilindretti alti circa 3 cm, compattateli con le mani e rotolateli in un piatto dove avrete miscelato farina e zucchero a velo in parti uguali. Fate un leggero solco sulla parte superiore, premendo con il pollice e sistemateli su una placca foderata di carta forno.
Cuocete a 130° per 15 minuti circa.
Non vi preoccupate se quando li sfornate sembrano ancora morbidi: si solidificheranno piano piano.
Aspettate qualche ora prima di consumarli. Si conservano chiusi dentro sacchettini di plastica.

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