La zuppa garfagnina: un assaggio di Garfagnana

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Un altro blog tour targato AIFB (Associazione Italiana Food Blogger), questa volta in Garfagnana.
Ho scoperto che mi piace questo modo di conoscere un territorio: farselo raccontare da chi ci vive, entrarci dentro, andare al cuore. Ascoltare storie, vite, scommesse, come una serie di puntini che, appena si allontana lo sguardo, compongono un disegno più grande.

Il viaggio in Garfagnana inizia in una mattinata grigia e nebbiosa con il saluto delle autorità locali presso la fortezza di Mont’Alfonso, complesso di fine ‘500, voluto da Alfonso II d’Este, la cui casata governò il territorio di Castelnuovo di Garfagnana dal XV fino all’inizio del XIX secolo. Con noi c’è anche Antonella Poli: sempre presente e pronta a soddisfare le nostre curiosità, organizzatrice perfetta anche nell’imprevisto, è stata il vero angelo custode del blog tour.

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Sin da subito, dopo la proiezione del video “Garfagnana: dove il tempo non corre”, nelle parole di presentazione del sindaco di Castelnuovo, del presidente e del direttore dell’Unione dei Comuni percepisco valori che ritroverò più volte nei giorni successivi: solidità, attaccamento alla tradizione, consapevolezza della propria identità. E, al tempo stesso, un forte slancio per restare al passo con i tempi, per sopravvivere senza snaturarsi, per contrastare la tendenza all’abbandono insita in un territorio marginale e complesso eppure ricco di risorse.

Dopo la presentazione, in un altro degli edifici che compongono la fortezza estense visitiamo la mostra di grafica e fumetti “L’Orlando Curioso”, dove, a 500 anni dalla prima pubblicazione, il poema di Ludovico Ariosto – che di Castelnuovo di Garfagnana fu governatore per due anni per conto degli Este – diventa una graphic novel incentrata sul tema del fantastico e dell’eterno viaggio di ricerca individuale.

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Dalla sommità della collina che ospita la fortezza ammiro il panorama, per quel che mi consentono le basse nuvole che sembrano più banchi di nebbia, e già comprendo di essere in un territorio di confine, che fa da cerniera tra Toscana ed Emilia. Non a caso, nei secoli fu dominato a lungo dagli Este, prima di passare alla Repubblica di Lucca.

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A pranzo, tutti da Andrea. Siamo ospiti dell’Osteria Vecchio Mulino ma il clima è così familiare e raccolto che sembra davvero di essere a casa di Andrea Bertucci, l’imponente e rubicondo proprietario di questa piccola enoteca/gastronomia di Castelnuovo di Garfagnana. Una sola stanza, pochi posti a sedere, pareti tappezzate di bottiglie e prodotti tipici, atmosfera calda da vera taverna.

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Qui si degustano essenzialmente taglieri e noi assaggiamo quello del pellegrino, ricchissimo di preziose specialità: manzo di pozza, prosciutto bazzone, la mondiola (una specie di salame), il lardo e il biroldo (sanguinaccio). E poi formaggi, torte salate, pane di castagne e il pane di patate tipico della Garfagnana. Andrea ci descrive ogni prodotto mentre lo mangiamo; le sue parole vanno indietro nei secoli e illustrano modi di produrre che sono il risultato della necessità, di quando non c’erano le tecnologie attuali e solo l’abilità e l’esperienza consentivano di ottenere dei prodotti che si conservassero nel tempo.

Il biroldo, il pane di patate e il prosciutto bazzone sono anche dei presìdi Slow Food.

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Il prodotto forse più famoso della Garfagnana è però il farro, uno dei cereali più antichi, coltivato già nel 7000 a.C. e divenuto tipico nell’alimentazione dei Romani. Il farro ha esigenze nutrizionali inferiori rispetto ad altri cereali e per questo è adatto a terreni rustici, di bassa montagna e non eccessivamente fertili, che impediscano una crescita eccessiva della spiga e il suo conseguente indebolimento.

Fino a qualche anno fa era un cereale a rischio erosione genetica, ma grazie alle indicazioni di coltivazione della Regione Toscana e al conseguimento del marchio IGP, negli ultimi anni le coltivazioni di farro di Garfagnana si sono ampliate fino a raggiungere qualche ettaro e la richiesta del mercato è aumentata. Tuttavia, si tratta pur sempre di appezzamenti molto piccoli e frammentati: il territorio garfagnino non consente grandi estensioni e la sua sussistenza si basa da sempre su produzioni piccole e diversificate.

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Garfagnana Coop, il Consorzio dei Produttori di Farro della Garfagnana, ha realizzato a San Romano un centro unico per la lavorazione, il confezionamento e lo stoccaggio del farro, in modo tale da dividere i costi tra i singoli produttori e garantire la sostenibilità economica della produzione. Il presidente Lorenzo Satti ci spiega le problematiche di coltivazione e di sostenibilità, per poi mostrarci l’impianto di produzione dei cereali e delle farine; qui, l’80% dell’energia impiegata è di origine fotovoltaica.

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La tendenza alla multifunzionalità è incarnata perfettamente dal Consorzio: qui si producono anche legumi (che vengono alternati nei terreni destinati al farro secondo il metodo della rotazione delle colture), farina di neccio D.O.P. (ossia di castagne), farina di grano saraceno e prodotti lavorati come biscotti, pasta secca e confetture, sempre a partire da materie prime locali.

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Il Consorzio riunisce 19 soci conferitori, ai quali si aggiungono altri conferitori locali, ed ha il compito di fissare un prezzo comune di acquisto e di vendita. Prezzo che è inevitabilmente più elevato rispetto ad un farro comune di pianura, sia per la diversa qualità che per la maggiore difficoltà di coltivazione, acuita negli ultimi anni dai mutamenti climatici in atto.

Un progetto che ho trovato molto interessante riguarda il recupero di piccoli appezzamenti a ridosso del Serchio, dove sono stati ripristinati vecchi muretti a secco a protezione del terreno dalle inondazioni e sono stati piantati legumi di vario tipo. Poiché le sponde del fiume sono proprietà comunale, in passato, questi appezzamenti erano coltivati da chi non aveva possedimenti nè terre in affitto: così, tutti potevano avere di che vivere. In pratica si tratta di un doppio recupero: di tipo storico-paesaggistico e colturale.

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Inizia a piovere proprio quando dobbiamo inerpicarci lungo il sentiero acciottolato che sale alla Fortezza delle Verrucole, presso San Romano in Garfagnana. Ed è un vero peccato, perché da quassù si gode di un panorama meraviglioso.

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La fortezza, fondata tra il X e il XI secolo dalla famiglia dei Gherardinghi, è una cittadella in pietra costituita da due rocche, una quadrata e una circolare unite da un camminamento; l’assetto attuale le fu dato dagli Este, che intorno alla metà del ‘400 se ne appropriarono dopo un periodo di abbandono seguito al dominio lucchese e a quello della famiglia Malaspina.

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blogtour garfagnana-21Acquistata dal Comune di San Romano, la fortezza oggi è visitabile e resa viva da tante iniziative per adulti e bambini. Il giovane Diego, vestito di abiti medievali, è la nostra guida: con i suoi modi semplici e il volto pulito, cattura subito la nostra attenzione, raccontando la vita quotidiana del medioevo, gli usi alimentari, gli aspetti bellici e più propriamente storici. Attraverso le sue parole la Storia torna davvero viva: è una guida colta e al tempo stesso chiara e coinvolgente.
Quello della Fortezza delle Verrucole è un esempio perfetto di valorizzazione, possibile solo quando la passione e la professionalità di giovani formati da anni di studio ed esperienza incontrano Amministrazioni locali sensibili e pronte ad impegnarsi attivamente nella promozione territoriale. Con tutte le realtà storico-archeologiche da valorizzare in Italia, l’auspicio è che questo modello possa trovare applicazione in tanti altri siti. Me lo auguro davvero.

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Il clima tempestoso ci aiuta ad immedesimarci nell’atmosfera medievale, e avvolti nei nostri pesanti tabarri affrontiamo le poche centinaia di  metri che ci separano dall’altra parte della fortezza, che ospita la Taverna del Ratto Guerriero. Ci accoglie un’ostessa in costume medievale, che ha preparato per noi alcune bevande antiche da degustare insieme ad una sostanziosa spongata, torta di frutta secca, canditi e miele.

Sidro: bevanda alcoolica a base di mele fermentate.
Ippocrasso: vino in cui vengono fatti macerare aromi e spezie (il nome deriva dal medico greco Ippocrate, perché nel Medioevo i medicamenti e le erbe curative venivano somministrati con il vino).
Idromele: bevanda alcolica a base di acqua e miele.
Ambrosia: liquore a base di erbe.

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Corroborati dai liquori medievali, riscendiamo quando è ormai l’imbrunire e le vette sono a malapena distinguibili tra la foschia e l’umidità incalzante. Il passaggio all’Osteria delle Verrucole è breve. Qui ceniamo con piatti tipici locali,  preparati in gran parte con prodotti del Consorzio dei produttori di farro: tagliatelle di farro con salsa di noci, polenta al ragù e dolci a base di farro e mele.

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Dopo una notte ristoratrice ospiti dell’Hotel La Lanterna, il mattino seguente, sotto ad un cielo ormai sereno, ci dirigiamo a visitare la sezione della Banca del Germoplasma a La Piana di Camporgiano. La direttrice, Fabiana Fiorani, ci illustra il progetto regionale che mira alla tutela e valorizzazione di antiche varietà locali di piante e alberi da frutto, attraverso un recupero attivo.

blogtour garfagnana-33Nella sezione di Camporgiano, inaugurata nel 2008 grazie ad un accordo tra l’Unione dei Comuni e la Regione Toscana, le varietà vegetali vengono conservate sia ex situ, cioè sotto forma di semi nelle celle frigorifere, sia in situ come piante vive, nel terreno tutto attorno al piccolo edificio. Ci sono poi i numerosi coltivatori custodi, volontari che adottano una o più varietà vegetali, piantandole nel loro terreno (almeno 3 esemplari per ogni varietà) per proteggerle dalle contaminazioni, contribuendo così a contrastarne la scomparsa.

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Il recupero delle varietà, a Camporgiano, è avvenuto in maniera molto naturale, chiedendo ai bambini delle scuole di portare i semi delle piante che i nonni coltivano nell’orto e chiedendo loro i modi di uso tradizionali di quelle stesse piante, così da recuperare non solo il vegetale ma anche un insieme di saperi e di modi di consumo.
Così, nel terreno adiacente alla Banca del Germoplasma, troviamo mele lucchesi e mele casciane, il fagiolo fico, il pomodoro fragola, il cavolo di Tresillico, la mela del Giappone (una località della Garfagnana) E poi la cosiddetta pera di figura, bellissima ed enorme ma non adatta al consumo da cruda…solo per figura, quindi!

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Le varietà di piante recuperate con il contributo della comunità vengono diffuse e distribuite a piccolo raggio tra i coltivatori locali. Le sementi, però, non possono essere vendute perché non sono iscritte al registro comunitario delle varietà, ma solo in quello regionale. Il processo per renderle commercializzabili, però, è lungo e tortuoso, oltre che avversato dai grandi produttori sementieri, che considerano progetti di questo tipo come possibile concorrenza.

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Nel centro della Piana c’è anche una piccola superficie vitata, con alcuni vitigni che provengono da Francia e Piemonte e 20 di origine locale. Poiché in Garfagnana la vocazione vitivinicola molto bassa, per secoli i vitigni locali non sono stati sostituiti con nuove varietà che garantissero una resa maggiore; la produzione di vino è sempre rimasta limitata al consumo familiare, per il quale le varietà autoctone andavano più che bene.
Per ogni varietà del centro vengono oggi fatte microvinificazioni ed è probabile che a breve potremo trovare sul mercato uno spumante proveniente dalla Piana, visto che è in fase di elaborazione un protocollo per farlo registrare e poterlo commercializzare.

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Un aspetto fondamentale di questa sezione della Banca del Germoplasma – che si affianca alle altre 11 sul territorio toscano – è lo stretto legame con il territorio e con la comunità locale, che ne fa un organismo vivo, dove si praticano attività con le scuole e si organizzano vari corsi legati alle attività agricole. Il senso di comunità si respira forte in Garfagnana, ovunque, perché spesso è proprio l’isolamento a creare un forte senso di appartenenza, e l’agricoltura qui ha ancora una connotazione sociale molto spiccata.

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Di cose da raccontare ne avrei ancora molte, ma per oggi interrompo qui. Vi basti sapere che la prossima volta andremo in un luogo magico in cui il tempo si è fermato…e non è solo un modo di dire!
Vi lascio con una zuppa garfagnina, l’ideale per le prime serate fredde. Ovviamente, a base di farro. Buon appetito!

N.B.: vorrei ringraziare tutte le persone che hanno contribuito all’organizzazione del blog tour e che ci hanno accolto con tanto entusiasmo e passione: Andrea Bertucci (titolare dell’Osteria Vecchio Mulino), Paolo Fantoni (presidente Unione dei Comuni), Sandro Fioroni (dirigente Unione dei Comuni), Pier Romano Mariani (sindaco San Romano in Garfagnana), Diego e Giulia Micheli (Fortezza delle Verrucole), Antonella Poli (responsabile dell’Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica Garfagnana), Annarita Rossi (organizzazione blog tour), Lorenzo Satti (Garfagnana Coop), Andrea Tagliasacchi (sindaco Castelnuovo di Garfagnana).

ZUPPA DI FARRO ALLA GARFAGNINA

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 20 minuti       Tempo di cottura: 1 h + 20′

Ingredienti

  • 100 g fagioli borlotti secchi (io ho usato i fagioli dall’occhio)
  • 80 g farro
  • 70 g cipolla
  • 40 g carota
  • 40 g rigatino (pancetta)
  • 2 rametti di rosmarino
  • olio extravergine d’oliva
  • sale

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Procedimento

Mettete a bagno i fagioli per 10 ore circa.
Sciacquateli e cuoceteli in abbondante acqua fredda per circa un’ora, insieme a due rametti interi di rosmarino. Togliete il rosmarino, mettete da parte un paio di cucchiai di fagioli e frullate il resto.
Tagliate a dadini la cipolla e la carota, della dimensione che preferite (a me piace che si sentano anche una volta che la zuppa è cotta), soffriggeteli in due o tre cucchiai di olio evo, unite la pancetta tagliata a listarelle e dopo un paio di minuti il passato di fagioli. Salate, e unite il farro, facendolo cuocere per circa 20 minuti (o secondo il tempo riportato sulla confezione: non sono tutti uguali!).
Se il passato fosse rimasto troppo denso unite un po’ di brodo o di acqua calda salata durante la cottura.
Completate con i fagioli interi messi da parte e completate con un giro d’olio.

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Note:

  • il soffritto tradizionale per la zuppa garfagnina prevede anche sedano, basilico aglio e prezzemolo, almeno secondo quanto riportato da G. Righi Parenti ne La cucina toscana, p. 374.

Cheesecake salata di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano

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Abbinamenti in cucina. Sembra facile eh? Finché si tratta dei soliti noti, i classici che sa anche il gatto, sono buoni tutti: feta e pomodorini, uova e asparagi, pere e gorgonzola. Poi ci sono quelli vagamente più originali che, nel mio piccolo, ho scoperto da poco e messo in pratica sentendomi una pioniera, anche se con ogni probabilità erano conosciuti ai più: pesche e lavanda, cioccolato e tè matcha, pollo e latte di cocco. E poi ci sono abbinamenti – anche semplici – ai quali non avevo mai pensato. Sedici, mi piace proprio per questo (e se ancora non sapete cosa è, seguite il link e andate a scoprirlo!). Perché dà un sacco di spunti cui attingere per provare nuovi accostamenti, fornendo anche una rete di protezione. La rete, nello specifico, è costituita dal libro di Niki Segnit “La grammatica dei sapori” (che io avevo acquistato già prima del lancio dell’operazione Sedici…sintonia con le organizzatrici?), una miniera di suggerimenti che vi guida nella sperimentazione di nuove combinazioni in cucina. In realtà, più che guidarvi, traccia un’esile strada che potrete reinterpretare a modo vostro. Sedici grandi famiglie di sapori che raccolgono tanti ingredienti, per ognuno dei quali vengono proposti abbinamenti con altri alimenti. Non troverete praticamente nessuna ricetta già pronta all’uso, ma tanti spunti da bastare un anno intero…e vi resterà sempre la voglia di provare qualcosa! Il tema di questo mese è la famiglia denominata Erbe e verde, all’interno della quale ho scelto i piselli, in abbinamento con le uova. cheesecake di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano-5 E’ stata l’occasione per preparare una cheesecake salata, che volevo fare da tempo. Ma, tanto che c’ero, ho voluto fare una sperimentazione in più e invece della solita base di grissini, crackers o taralli che si vedono in questo tipo di preparazione, ho pensato di usare dell’amaranto, che ormai è piuttosto comune sulle mie pagine. Oltre ad essere più originale, l’amaranto rende la ricetta più sana e leggera: non ci sono i grassi aggiunti del burro che di solito si usa per legare la base e non vengono usati i prodotti confezionati di cui sopra (visto che i grissini non avevo tempo di farli in casa e avrei dovuto comprarli). Sperimentazione per sperimentazione, è stata anche la volta dello zabaione salato, visto in tante ricette ma verso il quale sono sempre stata titubante perché non sono amo il sapore di uovo extra-strong. Insomma, una ricetta che era un vero e proprio salto nel vuoto! Il risultato? Piuttosto soddisfacente, direi. Il cheesecake era buonissimo e il sapore dell’uovo era smorzato dal parmigiano, quindi non risultava troppo invasivo rispetto ai piselli. La prossima volta, però, vorrei provare ad aggiungere una parte di asparagi all’impasto del cheesecake, che secondo me renderebbero il sapore un po’ più composito, mentre con i soli piselli tende ad essere un po’ troppo uniforme. cheesecake di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano-6

CHEESECAKE SALATA DI PISELLI E AMARANTO CON ZABAIONE AL PARMIGIANO

Dose: 4 monoporzioni (6-7 cm di diametro)       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura: 15′ + 20′ + 5′

Per il cheesecake:

  • 70 gr di amaranto
  • 600 gr di piselli surgelati
  • 200 gr di ricotta vaccina
  • 2 scalogni
  • olio extravergine di oliva
  • sale

Per lo zabaione salato:

  • 3 tuorli
  • 2 cucchiai abbondanti di parmigiano grattugiato
  • circa 100 ml d’acqua
  • 3 fili di erba cipollina tagliuzzati
  • sale e pepe

cheesecake di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano-2 Procedimento Mettete l’amaranto in una casseruola dal fondo spesso con circa 120 ml di acqua (approssimativamente il doppio della quantità di amaranto; meglio metterne un po’ meno ed aggiungerne eventualmente se si dovesse asciugare troppo). Appena spunta il bollore coprite e cuocete per 15-20 minuti (controllate il tempo riportato sulla confezione, non tutti gli amaranti sono uguali). Alla fine l’acqua dovrà essere del tutto assorbita e l’amaranto asciutto e ancora un po’ croccante. Affettate finemente lo scalogno, riscaldatelo per 5-6 minuti in un cucchiaio di olio evo, unite i piselli, salate, coperchiate e cuocete per circa 15 minuti (anche in questo caso dipende dalla grandezza dei piselli). Tenete da parte un cucchiaio di piselli per usarli come decorazione e frullate il resto con la ricotta. Imburrate leggermente i coppapasta e sistemateli direttamente sui singoli piatti in cui servirete le cheesecake. Distribuite sul fondo uno strato di amaranto (alto circa 5 mm) e appiattitelo con il dorso di un cucchiaino. Mettete in freezer 10 minuti, poi formate lo strato di piselli con l’aiuto di una sac-à-poche; lisciate rapidamente la superficie con il dorso di un cucchiaino e mettete in frigo per 3-4 ore. Poco prima di servire, togliete dal frigo, riscaldate leggermente i lati del coppapasta con un accendino o semplicemente con le mani, fate scorrete delicatamente un coltello con la punta tonda tra il cheesecake e il coppapasta, poi sbattete leggermente il coppapasta sul piatto e a questo punto il tutto dovrebbe sfilarsi dall’anello. Se la cheesecake si è un po’ rovinata, niente paura: inumidite leggermente il coltello dalla punta tonda e lisciate delicatamente i lati e la superficie: tornerà perfetta. Riscaldate i 100 ml di acqua per lo zabaione e scioglietevi dentro il parmigiano grattugiato, mescolando con una forchetta. Sbattete i tuorli in una casseruola, mettete a bagno maria, unite l’acqua con il parmigiano e fate cuocere lentamente, sempre mescolando, fino a quando non inizia a rapprendersi. Ci vorranno 5-10 minuti, l’importante è che l’acqua del bagnomaria non sia troppo a bollore e la temperatura delle uova non superi gli 85°, altrimenti si stracceranno. Scegliete voi la densità del vostro zabaione ma considerate che la cottura proseguirà per un po’ di tempo dopo che lo avrete tolto dal fuoco, quindi secondo me è meglio lasciarlo un po’ più lento: se si rapprende troppo e diventa denso è brutto! Decorate le cheesecake con qualche pisellino, delle gocce di zabaione e qualche pezzetto di erba cipollina. cheesecake di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano-3 Note: – l’unico rammarico è che la cheesecake non fosse perfettamente liscia come quelle che si vedono nelle riviste. Forse quell’effetto si ottiene passando i piselli al passaverdure per eliminare le bucce ( ma in quel caso sarebbe rimasto fuori anche lo scalogno), oppure ci vuole un’attrezzatura diversa dal mio semplice minipimer. Se qualcuno ne sapesse di più…fatevi avanti!

Con questa ricetta partecipo a Sedici. L’alchimia dei sapori

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Erwtensoep – Zuppa olandese di piselli secchi spezzati

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Dici zuppa di piselli e subito pensi a una sbobba brodosa, grigia e triste. Niente di più sbagliato! Questa zuppa è densa e cremosa, arricchita da verdure pastose e da carne saporita e tenera… Non dirò comfort food perché è un termine inflazionato ma…ci siamo capiti! 😉

L’occasione per portare sulla mia tavola questa zuppa è nata grazie a Enrica ed Elisa, che hanno ideato un bellissimo contest a partire dal libro “Pippi Calzelunghe piccola grande cuoca. Comfort food in salsa svedese“.
L’autrice di questo libricino, Elisabetta Tiveron, rilegge gli episodi della storia di Pippi alla luce di ciò che la buffa bambina cucina e mangia con i suoi amichetti, analizza il ruolo del cibo e presenta una nutrita serie di ricette svedesi, dalla colazione ai pasti principali passando per buffet e tè pomeridiani.
Sono grata ad Enrica ed Elisa per avermi fatto conoscere questo libro che, per me, ha un duplice pregio.
Innanzitutto mi ha fatto conoscere più da vicino Pippi Calzelunghe perché…be’, non è una fiaba che appartiene alla mia infanzia. Ne ho sempre sentito parlare ma non ho mai letto il libro (e sì che anche da piccola leggevo tanto) né visto alcun adattamento televisivo.
Leggendo la Tiveron, invece, ho scoperto un personaggio simpaticissimo, una bambina sempre allegra e ottimista, che con la sua logica strampalata è capace di strappare un sorriso anche nelle giornate più grigie. Quasi un Peter Pan al femminile, che per qualche istante vi riporterà allo spirito fanciullesco di quando avevate poche preoccupazioni e tanta fantasia. (E questo mi fa pensare che, a volte, sarebbe utile anche rileggere qualche classico della letteratura per ragazzi, che tornare un po’ bambini non fa mai male). A vederla con gli occhi di un adulto, rappresenta quasi un incoraggiamento a cambiare prospettiva, a guardare le cose in modo differente per scoprire che l’attitudine alla vita la si sceglie e, spesso, condiziona la vita stessa.

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Il libro è inoltre una piacevole incursione nella cucina svedese: viene spiegata l’articolazione dei pasti, la loro preparazione, quali sono gli alimenti più diffusi e come sostituirli “qui al Sud”.
Le suggestioni sono davvero molte, ma per me la scelta è stata quasi immediata. Quando ho visto la Arter med flask, o zuppa di piselli gialli, il pensiero è corso subito alla (quasi) omologa olandese Erwtensoep, per me legata inscindibilmente all’incontro con Amsterdam. Una città magica che mi ha conquistato con la sua calma pacifica ma vitale, con la sua civiltà, con il placido scorrere dei canali che accompagnano quieti il viaggiatore e lo cullano durante lunghe passeggiate alla scoperta di negozi curiosi, angoli nascosti e prospettive inattese. E quando fa buio, ci si può rifugiare in un vecchio bistrot, dove il profumo della cucina si mescola a quello delle assi di legno, e il vivace chiacchiericcio degli avventori è il degno contorno dei piatti fumanti e sostanziosi della cucina tipica olandese. Avrei così tanti ricordi da narrare di quel viaggio…ma preferisco custodirmeli nel cuore.

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Vi lascio però la ricetta, che ho variato in base ai miei gusti. Nell’originale (che ho trovato qui) erano previste anche costolette di maiale e pancetta, ma sinceramente mi sembrava un po’ troppo e mi sono limitata alla sola salsiccia. Quella che ho usato è nostrale, niente a che vedere con le salsicce affumicate olandesi (nei cui supermercati, tra l’altro, si trovano una quantità e varietà di insaccati tale da far impallidire il carnivoro più incallito), ma mi sembra un buon compromesso.

La versione finale, inoltre, non si discosta molto da quella svedese presentata nel libro della Tiveron, nelle ultime pagine del quale si parla delle curiose pillole-Cunegonde. Cosa sono? Be’…sono pillole per chi non vuole diventare grande, simili in tutto e per tutto a dei piselli secchi.
E chissà che in questa zuppa non sia finita per sbaglio una di quelle pillole, sotto le mentite spoglie di un umile pisello? Se così fosse, ad ogni cucchiaiata si potrebbe recuperare un po’ di quella pura e fiduciosa meraviglia che si legge negli occhi dei bambini, bene prezioso che solo pochi saggi sono in grado di conservare in un angolo del proprio cuore. Sognare non costa niente.

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ERWTENSOEP – ZUPPA DI PISELLI SECCHI SPEZZATI

Dosi: 2 persone       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: circa 2 ore

  • 250 gr di piselli secchi spezzati
  • 1 patata piccola
  • 2 carote
  • 1/2 cipolla bionda
  • 1/2 porro
  • 1 salsiccia
  • sale e pepe

Sciacquate ripetutamente i piselli. Cuoceteli, coperti, in acqua bollente salata (circa 1,5 litri) per un’ora almeno.
Nel frattempo pelate la patata e le carote e tagliate a pezzi piuttosto grossolani. Mondate la cipolla e il porro e tagliate un po’ più finemente, ma non troppo.
Quando i piselli saranno quasi disfatti aggiungete le verdure e cuocete ancora per 30-40 minuti. Alla fine i piselli dovranno essere diventati una crema e le verdure dovranno essere morbide ma non disfatte. Aggiustate di sale e di pepe.
Cuocete la salsiccia intera in una padella antiaderente per 4-5 minuti, tagliatela a pezzetti e unite alla zuppa negli ultimi 5 minuti di cottura.
Servite caldissima.

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ERWTENSOEP – DUTCH SPLIT PEA SOUP

Serves: 2       Preparation time: 15 minutes       Cooking time: about 2 hours

  • 250 gr split peas
  • 1 small potato
  • 2 carrots
  • 1/2 onion
  • 1/2 leek
  • 1 sausage
  • salt and pepper

Rinse the peas 2 or 3 times. Cook in 1,5 liter of boiling salted water (covered with a lid) for at least 1 hour.
Peel the potato and carrots and dice them. Clean the onion and leek and chop them roughly.
When peas are almost melted, add the vegetables and cook for 30-40 minutes more. At the end, peas should be creamy and vegetables tender but not melted. Add salt and pepper.
Cook the sausage in a frying pan for 4-5 minutes, slice it and add to the soup for the last 5 minutes of cooking. Serve hot.

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Con questa ricetta partecipo al contest “Benvenuti a Villa Villacolle” di Coccola Time e Il fior di cappero

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