Pici con le briciole di Chiusi

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Il campanile. Ogni città, ogni paese, per piccolo che sia, ha il proprio, che si erge a vedetta dell’abitato e a sua rappresentanza. Da qui il termine campanilismo, ossia l’attaccamento esasperato alle proprie tradizioni e usanze locali, spesso in contrapposizione a quelle dei paesi limitrofi. E l’Italia, in questo, è maestra.
Con cucina di campanile, dunque, si intendono quei piatti (o varianti di piatti) a carattere eminentemente locale, tipici di una città o di un piccolo borgo, e che già a 10 km di distanza vengono preparati in modo diverso.

Il preambolo è per annunciare che oggi, secondo il Calendario del Cibo Italiano di AIFB, inizia la Settimana della cucina di campanile, di cui è ambasciatrice Stefania Mulè. Io contribuisco ai festeggiamenti con i pici con le briciole, piatto tipico del mio paese natìo: Chiusi, in provincia di Siena. In realtà è una ricetta che si trova anche nei paesi limitrofi, perciò è più corretto definirla tipica della Valdichiana senese, anche se Giovanni Righi Parenti, nel suo La Cucina Toscana, la inserisce nel capitolo dedicato specificamente alla cucina chiusina.

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I pici sono una pasta fresca fatta solo con acqua e farina, dei grossi spaghetti spessi circa 2-3 mm da crudi. Qualcuno mette anche un uovo, giusto uno, per renderli più elastici e facilmente lavorabili ma io mi sono rifiutata: volevo farli proprio come una volta.
In tutta la provincia di Siena si trovano in ogni ristorante, sagra e trattoria: con il ragù tradizionale o di cinghiale, con l’anatra, all’aglione, con cacio e pepe. Io ho scelto il condimento che usava sempre la mia nonna materna, quanto di più povero e semplice si possa immaginare: briciole di pane raffermo soffritte nell’olio. E vi assicuro che è buonissimo.
Ah, tra l’altro, una ricetta vegana ante litteram!

La tecnica di appiciamento si apprende con l’esperienza, e io non sono un’esperta: i miei pici sono irregolari e un po’ bitorzoluti. Ma la mamma dice che quelli della nonna – che io non ricordo – erano proprio così, e con questo me la cavo.

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PICI CON LE BRICIOLE

Porzioni: 2     Tempo di preparazione: 40′ + 30′ di riposo       Tempo di cottura: 10 minuti

Ingredienti

  • 240 g di farina 0
  • acqua q.b.
  • un pizzico di sale
  • 2 fette di pane casereccio raffermo
  • olio extravergine di oliva
  • sale e pepe

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Procedimento

Fate una fontana con la farina, versatevi un po’ di acqua, aggiungete un pizzico generoso di sale e iniziate ad impastare con la forchetta. Continuate ad aggiungere acqua fino ad avere un impasto malleabile ma non appiccicoso. Lavoratelo sulla spianatoia per 5 minuti, avvolgete nella pellicola e fate riposare mezz’ora.

Stendete l’impasto con il mattarello allo spessore di 1 cm circa, tagliatene una striscia e lavoratela con il palmo delle mani, rotolandola sulla spianatoia per dargli forma cilindrica e al tempo stesso tirandola verso le estremità per allungarla. Dovrete ottenere una sorta di lungo spaghetto, non troppo sottile, diciamo 2-3 mm di spessore. Proseguite fino ad esaurimento dell’impasto, coprendo quello ancora da fare per non farlo seccare e disponendo i pici finiti su un canovaccio cosparso di semola.

Passate il pane al mixer ricavandone grosse briciole e eliminando la parte troppo fine e “polverosa”. Fate soffriggere 3 o 4 cucchiai di olio evo in una padella antiaderente e rosolatevi le briciole per 4-5 minuti.

Lessate i pici in abbondante acqua salata per circa 5 minuti, scolate (tenete da parte un po’ di acqua di cottura!), e versateli nella scodella dalla quale li servirete. Conditeli con un po’ di olio e, se serve, aggiungete poca acqua di cottura, completate con le briciole e servite caldi. Aggiungete pepe a piacere.

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Paccheri ripieni al pomodoro

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Pomodoro e pasta. Pasta e pomodoro. Questo il tema del contest che per il quarto anno ha lanciato la Mediterranea Belfiore, azienda di Cecina che lavora i pomodori (ma anche altri ortaggi) di aziende agricole selezionate, quasi tutte con certificazione biologica, per produrne ottime passate, salse e conserve.
Già lo scorso anno, partecipando al contest con i calamari ripieni di pappa al pomodoro, avevo avuto modo di conoscere i prodotti di questa azienda a carattere familiare, e di verificare che la qualità di cui si parla nel loro sito corrisponde ad una qualità del prodotto reale. Per questo volevo assolutamente partecipare anche quest’anno. Ma, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il tema non è affatto semplice.

Pasta e pomodoro è un binomio perfetto, difficile da rivisitare, soprattutto se si considera che gli ingredienti ammessi erano pochissimi, proprio per evitare di snaturare la sostanza di questo piatto. Il pomodoro deve essere protagonista, con la pasta in veste di fedele ancella che lo valorizzi.

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Dopo molti voli pindarici, mi sono attesta su una ricetta molto basic e dai sapori tradizionali.
Pasta di semola di grano duro, nella migliore tradizione partenopea, e passata freschissima, con abbondante cipolla dorata e un sentore appena di peperoncino.
Nella pasta al pomodoro, per me, il pomodoro ci deve essere, e tanto. Ho voluto riempire il pacchero – ampio e accogliente – perché mi piace vedere il pomodoro che fuoriesce, tentatore. Mi sembra di sentirne già il sapore dolciastro che si allarga il bocca, contrastato appena dalla sapidità delle acciughe. La pasta resa scivolosa dall’olio alle erbe, i capperi e i pomodorini a dare un picco di sapore in più, ma non prevaricante.
Insomma, se le foto sono così così sapete che è perché mi era venuta una gran fame e non avrei resistito oltre. Quel pacchero lo volevo addentare!

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PACCHERI RIPIENI AL POMODORO

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 30′       Tempo di cottura: 1 h circa

Ingredienti

  • 160 g di paccheri lisci
  • 1 cipolla piccola
  • 400 ml di Freschissima Mediterranea Belfiore
  • 2 pomodori ciliegini essiccati Mediterranea Belfiore
  • 2 cucchiai di capperi sotto sale
  • 4 acciughe sotto sale
  • olio extravergine di oliva
  • 1/2 cucchiaino di fecola di patate
  • peperoncino
  • 4 rametti di timo
  • 2 rametti di maggiorana
  • 2 rametti di origano
  • sale

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Procedimento

Lavate e asciugate le erbe aromatiche (meglio se fresche; per l’origano ho dovuto ovviare con quello essiccato). Le dosi che ho scritto sono indicative, scegliete le proporzioni che preferite. Mettetele in una ciotolina e versatevi 2 cucchiai di olio evo.

Sciacquate i capperi sotto l’acqua corrente per rimuovere il sale. Scolate i pomodorini dal loro olio e tagliuzzateli. Disponete capperi e pomodorini su un foglio di carta forno e fate asciugare nel forno a 140°C per 45 minuti circa o fino a quando non saranno disidratati. Frullateli separatamente con il mixer, ottenendo una polvere.

Tagliate la cipolla a dadini e fatela stufare in 2 cucchiai di olio evo per 10 minuti, poi unite la salsa di pomodoro, salate e fate cuocere per circa 25 minuti, fino a che non si sarà sufficientemente addensata. Verso metà cottura ho stemperato mezzo cucchiaino di fecola di patate in poca salsa, per evitare i grumi, e l’ho unita al resto.

Lessate i paccheri in acqua non salata. Nel frattempo, sciogliete a fuoco bassissimo le acciughe diliscate con poco olio evo e poca acqua di cottura della pasta. Scolate i paccheri al dente e ripassateli velocemente nella pentola con la salsa di acciughe. Usate un sac-à-poche per riempirli di salsa di pomodoro e disponeteli nei piatti, completando con gocce di olio aromatizzato alle erbe, polvere di capperi e di pomodori secchi.

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Note:

  • le dosi per i pomodori e i capperi essiccati e per l’olio alle erbe aromatiche sono probabilmente maggiori di quanto vi servirà per la pasta, ma sono certa che vi torneranno utili in altre preparazioni, sono ottimi insaporitori.

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Con questa ricetta partecipo al contest Pomodoro e pasta 2.0, ospitato dalla grande Cristina di Poveri ma belli e buoni

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Ravioli di patate e carciofi con fonduta di Formai dal Cit

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Questa estate ho incontrato Libera. Era tanto che seguivo il suo blog, una miniera inesauribile di informazioni di prima mano sulla cultura gastronomica (e non solo) friulana, capace di lasciarmi a bocca aperta ad ogni nuovo post.
In luglio, complice un matrimonio triestino, abbiamo combinato l’incontro in un luogo a lei caro: l’agriturismo Borgo Titol, in Val Tramontina, provincia di Pordenone.

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Borgo Titol è quello che ogni agriturismo dovrebbe essere. E’ una fattoria, è un allevamento, è una famiglia che produce salumi e formaggi e li cucina per i suoi ospiti.
Il panorama delle Prealpi è maestoso e placido, un attivo torrente scorre subito sotto alla fattoria e tutto intorno ci sono gli animali che Roberto, il proprietario, alleva. Libera e io ci siamo annusate, un po’ emozionate da questo incontro vis-à-vis (o perlomeno, io lo ero), e dopo una breve esplorazione dell’agriturismo ci siamo sedute ai tavoli all’aperto, nella piccola corte racchiusa dai muri dell’antico borgo, oggi ristrutturato per accogliere gli ospiti.
Un pranzo sostanzioso, a base di prodotti dell’agriturismo: formaggi, pane fatto in casa e salumi, tra cui la famosa pitina, presidio Slow Food. Comune denominatore, l’affumicatura, che caratterizza gran parte dei prodotti tipici di questa zona e che io amo particolarmente. Quel giorno, però, non c’era il formai dal cit e Libera, donna di parola, me ne ha inviato un vasetto per Natale, insieme a tante altre prelibatezze.

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Il formai dal cit è una crema di formaggio vaccino spalmabile, tipica della Val Tramontina, che in passato veniva prodotta per recuperare il formaggio da sapore non proprio impeccabile.
Si prendevano le forme di Montasio o di Latteria mal riuscite, si tagliavano a pezzi e si tenevano a bagno nel latte o nella panna. Una volta scolate, venivano macinate e condite con sale, pepe e erbetinès, erbe spontanee che variavano di vallata in vallata. Praticamente ogni famiglia aveva la propria versione, come sempre accade nei prodotti artigianali. Il formaggio era poi conservato in recipienti di pietra, chiamati cit.
In virtù delle erbe utilizzate ha un sapore pungente, a volte piccante, molto caratterizzato, che io ho amato al primo assaggio. Oggi viene prodotto in piccole quantità e si consuma insieme alla polenta, spalmato sul pane, come condimento per la pasta o per mantecare i risotti. Borgo Titol è uno dei pochi posti dove è stata recuperata questa produzione, anche grazie alla passione di Xiadlei, giovane moglie di Roberto, che oltre ad occuparsi della cucina dell’agriturismo, in bilico tra ricette locali e contaminazioni con l’Oriente, si è appassionata al Formai dal Cit ed è stata parte fondamentale nel suo recupero (qui potete leggere la sua storia).

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Ho pensato di usare il Formai dal Cit in una fonduta per dei ravioli ripieni di patate e carciofi, un abbinamento che ho sempre trovato particolarmente efficace. I ravioli sono una delle cose in cui Libera esplica al meglio la sua fantasia, la tecnica e il senso estetico, oltre che il gusto, e mi piace la coincidenza di aver usato il suo regalo proprio per dei ravioli.

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RAVIOLI DI PATATE E CARCIOFI CON FONDUTA DI FORMAI DAL CIT

Porzioni: 4       Tempo di preparazione: 2 h       Tempo di cottura: 1 h

Ingredienti

Per i ravioli

  • 3 uova medie
  • 300 g di farina circa
  • un pizzico di sale
  • 400 g di patate
  • circa 350 g di carciofi al netto degli scarti (circa 4 bei carciofi violetti)
  • olio extravergine di oliva
  • 1 spicchio d’aglio
  • sale e pepe

Per la fonduta

  • 600 ml di latte
  • 25 g di burro
  • 30 g di farina
  • 80 g di formai dal Cit
  • sale e pepe
  • timo

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Procedimento

Per i ravioli

Lavate le patate e lessatele con la buccia fino a quando, se infilzate con una forchetta, saranno tenere. Sbucciatele ancora tiepide e passatele allo schiacciapatate.
Mondate i carciofi, tagliateli a spicchi sottili, mettendoli via via a bagno in acqua acidulata con succo di limone per evitare che si anneriscano.
In una padella scaldate 2 cucchiai di olio evo con uno spicchio d’aglio diviso a metà, poi unite i carciofi , salate e fate rosolare a fiamma vivace per 2-3 minuti. Togliete l’aglio, coprite e cuocete a fuoco basso fino a che non saranno teneri, unendo poca acqua se necessario.
Una volta cotti, tagliate i carciofi al coltello o passateli con il tritatutto ma cercando di non frullarli completamente. O perlomeno: a me non piace quando il ripieno è completamente liscio, devono sentirsi ancora un po’ i pezzettini.
Mescolate la purea di carciofi con le patate e aggiustate di sale e di pepe.

Fate una fontana con la farina, rompetevi in mezzo le uova, aggiungete il sale e iniziate a sbatterle leggermente con una forchetta, incorporando mano a mano la farina. Passate a lavorare l’impasto con le mani, sul piano di lavoro leggermente infarinato, per una decina di minuti, poi avvolgete la pasta in un canovaccio e lasciate riposare mezz’ora.

Prendete un pezzetto di pasta e stendetela in una sfoglia sottile con il matterello o la macchinetta. Distribuite piccole quantità di ripieno (circa un cucchiaino) a distanza regolare, coprite con un’altra sfoglia di pasta e tagliate i ravioli con un tagliapasta sagomato o con una rotella dentellata. Mano a mano che fate i ravioli disponeteli su un canovaccio pulito cosparso di semola per non farli attaccare.

Per la fonduta

In un pentolino dal fondo spesso, fate sciogliere il burro, unite la farina setacciata e mescolate con una forchetta evitando la formazione di grumi (roux). Versate poi il latte freddo a filo, salate e fate cuocere su fiamma media fino a che la besciamella non si è addensata. Date le proporzioni tra latte e roux, non verrà densissima; io l’ho fatta cuocere circa 15 minuti. Alla fine, unite il formai dal Cit e fate cuocere ancora qualche minuto fino a quando non è completamente sciolto. Aggiustate di sale.

Lessate i ravioli in abbondante acqua salata per pochi minuti. Io ho messo un cucchiaio di olio nell’acqua di cottura per evitare che si attaccassero. Scolate, condite con la fonduta e completate con foglioline di timo e una macinata di pepe.

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Con questa ricetta partecipo a Sedici: l’alchimia dei sapori

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