Torrette di cialda di Parmigiano Reggiano con mousse di nasello e zucchine

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Questa è la stagione che amo!
Un giugno di quelli di una volta, caldo di giorno ma non afoso, fresco d’estate, quando è un piacere sentire un brivido leggero sulle spalle nude e allungare la mano per raggiungere il golfino. O, invece, lasciar perdere il golfino e godere ancora dell’aria fresca, come se si potesse far scorta per i mesi a venire, che si preannunciano torridi e implacabili.

L’estate non ha ancora fatto irruzione ma si intravede sullo sfondo, come un soffio di brezza marina che distrae i miei pensieri cittadini. Io preferisco questo anticipo di estate, più delicato, che lascia ancora distinguere i contorni delle cose prima di sfumare nel tremolìo di un sole rovente che tutto dissolve.
Mi godo questi giorni dal sapore di ricordo, come il giugno di quando ero piccola al mare con i nonni, e i pensieri passavano veloci come le nuvole, mentre l’ora del bagno non arrivava mai.

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In onore alla semplicità di quei tempi e alla me bambina, un piatto con soli quattro ingredienti, con tanto gusto ma al tempo stesso iper-salutare.
Innanzitutto c’è il pesce, che grazie al blog sto mangiando sempre di più, e va bene che stavolta è surgelato ma…conta lo stesso, no?!
Poi le zucchine, verdure di stagione freschissime, appena portate dall’orto.
Un po’ di latte e, soprattutto, tanto Parmigiano Reggiano, che con i suoi amminoacidi essenziali, calcio, fosforo e vitamine è una fonte insostituibile di benessere. Oltre che di gusto!

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TORRETTE DI CIALDA DI PARMIGIANO REGGIANO CON MOUSSE DI NASELLO E ZUCCHINE

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura totale: 40 minuti

Ingredienti

  • 300 g di nasello surgelato
  • circa 120 ml di latte
  • 120 gr di Parmigiano Reggiano stagionato 24 mesi
  • 3 zucchine (con il loro fiore)
  • olio extravergine d’oliva
  • 2 rametti di timo
  • 3 rametti di maggiorana
  • sale

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Procedimento

Scongelate il nasello nel microonde o togliendolo dal surgelatore la sera prima. Scolate l’acqua che si sarà formata dal decongelamento, tagliatelo a pezzetti e mettete a bagno nel latte per mezz’ora. In una casseruola, scaldate due cucchiai di olio evo, fatevi rosolare per 2 minuti il nasello scolato dal latte, poi aggiungete lo stesso latte e cuocete a fuoco basso per almeno 20 minuti, fino a che il pesce non sarà quasi sfatto. Verso metà cottura unite le foglioline di timo e di maggiorana.
Frullate con il frullatore ad immersione, ripetutamente, cercando di tenerlo in parte al di fuori del composto di pesce per incorporare un po’ d’aria. Se volete una mousse davvero cremosa non dovete stancarvi di frullare, io ci ho messo una decina di minuti. Non aggiungete altro latte anche se vi sembra un po’ asciutto, altrimenti otterrete un composto troppo molle dal quale uscirà del liquido che bagnerà le cialde.

Rimuovete delicatamente i fiori dalle zucchine, lavateli, eliminate il peduncolo e il pistillo centrale e tagliateli a striscioline piccole e sottili.
Lavate le zucchine, tagliatene due a rondelle sottilissime con l’aiuto di una mandolina e grigliatele per un paio di minuti su una padella antiaderente ben calda. Conditele con poco succo di limone e un cucchiaio di olio evo, salate e tenete da parte.
Grattugiate la terza zucchina nella grattugia a fori grandi e tenete da parte.

Accendete il forno a 160°, modalità ventilato.
Grattugiate il Parmigiano Reggiano e, su una placca ricoperta di carta forno, formate le cialde: ci vorrà circa un cucchiaio colmo per cialda. Io mi sono aiutata versando il Parmigiano in un coppapasta del diametro di 7 cm e poi appiattendolo con il dorso del cucchiaio, ma potete benissimo fare senza. Fate cuocere per circa 5 minuti, avendo cura di sfornarle prima che i bordi si coloriscano troppo. Spostate il foglio di carta forno con le cialde sopra ad una griglia e aspettate che siano ben fredde e secche prima di rimuoverle.

Assemblate le torrette mettendo alla base una cialda, poi formate una quenelle di mousse con due cucchiai, ponetela sopra alla cialda e appiattitela leggermente con il dorso di un cucchiaio, proseguite con un’altra cialda, poi ancora con la mousse e così via. Guarnite l’ultima cialda con le zucchine grattugiate e qualche frammento di fiore di zucca e servite con le zucchine grigliate.

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Note:

– assemblate le torrette poco prima di servirle, così che le cialde rimangano croccanti;

– non salate troppo il nasello e mettetene una discreta quantità in ogni strato: servirà ad esaltare e ammorbidire la sapidità del Parmigiano.

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Con questa ricetta partecipo a 4Cooking, il nuovo contest del Parmigiano Reggiano

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Il brustico: il pesce del lago di Chiusi

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Attorno a lui sono ruotati i miei primi trent’anni.
Ho così tanti ricordi legati a questo specchio d’acqua – il Chiaro, come lo chiamano qui – che ripercorrendo le sue stagioni potrei ricostruire le tappe della mia vita.

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Nelle sue acque ho imparato a nuotare.
C’è un microscopico approdo, una sorta di porto in miniatura, circolare, racchiuso da due pontili che distano tra loro un centinaio di metri. Quella distanza era la mia misura, la percorrevo in un buffo dimenarmi accompagnato da spruzzi e schizzi, con i braccioli rosa e le corte codine che spuntavano dall’acqua. Ero felice e orgogliosa sotto gli occhi del babbo, che mi assisteva in quella traversata che aveva il gusto dell’avventura. I giorni della fiducia dell’infanzia, del brivido della scoperta, della libertà.
Una volta ogni tanto, poi, quasi come un premio fortuito deciso da una divinità bizzarra, c’era la gita in barca. Una barca di legno, piccolissima, da pescatori della domenica, spinta dalla sola forza di un enorme remo di legno sverniciato, quasi più grande di tutta l’imbarcazione, che il babbo muoveva come fosse una piuma. La barca scivolava silenziosa sulle acque setose, e i miei occhi seguivano ipnotizzati le increspature sulla superficie scura, che non lasciava vedere il fondo. Erano i giorni quieti della calma, del gusto genuino delle cose.

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Nella primissima adolescenza ci sono state le estati del canottaggio. Uno sport che non avrei voluto fare, che ho subìto e vissuto male, perdendomi ciò che di bello avrebbe potuto darmi. In quegli anni il lago mi era quasi insignificante: non sapendo vederne la bellezza, ne venivo respinta. Così come venivo respinta da me stessa, incapace di capirmi e di leggere il mondo intorno a me, negli anni della confusione e dell’inadeguatezza.

Poi il lago è diventato il rifugio. Avere la patente significava anche la libertà di venire tutte le volte che volevo. Da sola, in meditazione. O in due, per confidarsi. Io e lei in uno schema costante: chiuse in macchina d’inverno, al riparo dal freddo, con le acque sferzate dal vento distese davanti a noi e il piazzale deserto. Oppure a passo lento sui pontili, d’estate, accarezzate da quel sole che ci piaceva tanto. Ma sempre per chiacchierare e raccontarsi, anche quando le parole non venivano e si stava in silenzio. Quante ne ha sentite, il Chiaro. A volte inezie infinitesimali, che pure sembravano importantissime, altre volte eventi più grandi, che avrebbero impresso una direzione alle nostre vite. Erano gli anni della crescita, del sentirsi grandi, della scoperta del mondo. Gli anni dei picchi di folle felicità e degli abissi di disperazione più nera. Lui era lì, apparentemente sfondo, in realtà protagonista insieme a noi delle nostre vite giovanili.

Con il tempo gli incontri si sono diradati e il lago è diventato un luogo in cui andare solo in certe occasioni. Ma erano sempre occasioni speciali, ogni volta era come un ritorno. Un’amica che non vedevo da tempo. Un discorso importante da fare. Il desiderio di una passeggiata chiarificatrice. Sapevo che il lago mi avrebbe accolto, i pioppi fruscianti a fare da sottofondo, le colline intorno a racchiudere i pensieri per non sentirsi smarriti, le barche di legno colorato attaccate alla riva come rassicurante presenza.

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Il luogo di tanti pranzi all’aperto, di tavolate eterogenee e sempre diverse sotto al pergolato che non c’è più. Uno, in particolare, ancora nel ricordo risveglia in me la gioia del giorno in cui tutti gli amici, da ogni parte d’Italia, sono accorsi per festeggiarmi, avvolgendomi nel loro affetto nel momento in cui ne avevo forse più bisogno. Un giorno di sole, di risate e di affetto, di felicità pura.

È il primo posto in cui ho portato lui, quando è venuto a trovarmi, in un torrido pomeriggio di agosto. Nei giorni della scoperta reciproca, è stato il mio modo di raccontarmi, perché lì era conservato un pezzo tanto grande di me.

Ora che vivo lontana, il lago è il primo posto in cui tornare. Per un saluto, per vedere cosa è cambiato, se è sempre lui. Ed ogni volta è sorprendente osservare il mondo a fior d’acqua: le dolci colline che gli fanno da corona contengono lo sguardo e rassicurano il cuore; una pace infinita si affaccia nell’animo, e vi rimane.

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Ma, in fondo, questi non sono che i ricordi di una singola persona. Quanti ne saranno sedimentati sul fondo del Chiaro? Paure, dolori, desideri, vicende di vita vissuta di chi sente questo lago al fondo del proprio cuore. E quanta Storia è stratificata sulle sue rive accoglienti, quante vite ed eventi da leggere in trasparenza sull’olio cangiante della sua superficie costellata di canne e ninfee?

Nell’antichità era palude, gigantesco acquitrino melmoso portatore di malattie. Poi è diventato risorsa, ricchezza, benedizione. A fasi alterne, perché l’impaludamento è sempre stato il nemico predestinato del Chiaro, e ancora oggi è in agguato. Eppure, per secoli l’area ha fornito pesce per il sostentamento delle famiglie, canne e paglia per attività artigianali, è stata terreno di caccia e via di comunicazione.

Fino al secondo dopoguerra, tutto attorno al lago permanevano alcune aree paludose (le Bozze) che venivano date in concessione a singoli lavoratori per lo sfruttamento delle erbe palustri, con le quali si impagliavano sedie e si rivestivano fiaschi e damigiane. I lavoratori che, immersi nelle basse acque stagnanti, si dedicavano alla raccolta di erbe e giunchi, a volte si procuravano anche dei piccoli lucci o delle scardole, forse catturati con esche rudimentali o piccole trappole improvvisate. In questi casi, il pesce costituiva il loro pranzo.

Spostatiti su terreno asciutto, iniziavano a dividere la paglia dagli scarti, che venivano ammassati in un piccolo mucchio. Con gli scarti della paglia e le canne secche veniva acceso un piccolo fuoco, sopra al quale erano gettati i pesci appena catturati e cotti a fiamma viva per pochi minuti finché l’esterno non era carbonizzato. Allora venivano rapidamente raschiati per rimuovere le squame, aperti e ripuliti delle interiora, per poi essere gustati con un semplice condimento di aceto e sale, prima di proseguire il lavoro di raccolta delle erbe palustri.

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Questo non è che uno dei modi in cui, nel corso dei secoli, il brustico è comparso nei pasti degli abitanti di Chiusi e delle zone limitrofe. È un piatto molto antico, c’è chi lo fa addirittura risalire agli Etruschi ma non mi azzarderei a tanto. Di certo, è un modo di cucinare e consumare il pesce molto caratteristico, nel quale si potrebbero anche ravvisare elementi di ritualità, nel fatto di gettare il pesce sulle fiamme ancora vivo, quasi come se fosse un sacrificio, o nella presenza del fumo che nell’antichità era strettamente legato alle offerte votive agli dei.

Quale che ne sia l’origine, è ancora oggi un piatto che i chiusini gustano con piacere, quasi fosse un simbolo identitario, mentre la brace del fuoco è ancora viva sulle canne secche e il lago veglia placido dalla sua conca perfetta.

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Per la realizzazione questa ricetta, così particolare e difficilmente replicabile, il mio merito è pressochè nullo. Il babbo si è prodigato per trovare il pesce, ha approntato il fuoco e si è dedicato alla cottura, attività nella quale eccelle. La mamma, solerte e attenta, si è occupata di pulire e sfilettare il pesce. Io non ho dovuto far altro che dedicarmi alle foto, e alla tavola. A loro tutti i ringraziamenti.

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Dosi: 4 persone       Tempo di preparazione: 40 minuti      Tempo di cottura: 5-10 minuti

  • persici reali, persici trota o lucci (circa 1 kg di pesce fresco)
  • olio extravergine d’oliva
  • sale e pepe
  • poco aceto
  • limone

Si mette il pesce fresco – senza squamarlo nè togliere le interiora – su una griglia o rete metallica. Si accende un fuoco con delle canne secche poste al di sotto della gratella ma che sporgono anche all’esterno e mentre il fuoco brucia si muovono le canne in senso orizzontale per cercare di dare una cottura il più omogenea possibile a tutto il pesce. Il tempo di cottura dipende dalle dimensioni dei pesci, di media servono almeno 5-6 minuti per ciascun lato. Alla fine il pesce risulta completamente nero all’esterno: è questo tipo di cottura che gli conferisce il tipico sapore affumicato e un po’ amarognolo.
Ogni pesce viene poi raschiato con una spugnetta metallica o con un coltello per togliere le squame bruciate, dopo di che si pulisce per ottenere dei filetti. Prima si tolgono la testa e la coda, poi si incide sul dorso con un coltello, si apre a libro e si tolgono sia le interiora ventrali che la spina dorsale. Poi si rimuovono le lische più piccole che sono rimaste dentro e che comunque vengono via piuttosto facilmente.
Si dispongono i filetti sui piatti da portata e si condiscono con sale e pepe, un po’ di aceto e abbondante olio evo. A piacere, si può aggiungere anche del limone.

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MARE CALMO – Insalatina di seppie e piselli con purè al nero di seppia

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Questa ricetta nasce per un contest speciale, quindi preparatevi che oggi la faccio lunga. Non dite che non vi avevo avvertito!

Il contest è stato indetto dalla rivista on line “Taste and more” (splendida per foto e spunti creativi) ed ha per protagonista l’impiattamento, ossia il modo di disporre i vari componenti della pietanza sul piatto. La presentazione, insomma.
L’ho trovato molto stimolante perché, anche se solitamente si tende a preparare dei piatti belli da vedere, in questo caso veniva richiesta una cura particolare. Un’idea progettuale da realizzare attraverso il cibo, un’attenzione estrema a colori, forme, consistenze, pieni e vuoti dell’insieme.
Per questo le foto non hanno nessun altro elemento tranne che il semplice piatto: è lui il protagonista.

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Mi sono resa conto che creare un piatto visivamente equilibrato e accattivante è molto più arduo di quanto si pensi. Gli elementi da ponderare sono molti ed è difficile padroneggiarli tutti, soprattutto se, come me, ci si cimenta per la prima volta. E tuttavia sono contenta di aver provato perché è un contest che mi ha stimolato moltissimo.

Per la mia proposta ho scelto un piatto di pesce, che associo spontaneamente alla stagione primaverile/estiva. Pesci semplici da mangiare, senza lische, senza ostacoli. La scelta è caduta sulle seppie, in un accostamento classico con i piselli, leguminose tardo-primaverili, che con i loro fiori delicati e i piccoli frutti verdissimi sembrano un inno al rigoglio della natura.
Pensando alla disposizione su un piatto bianco ho pensato di creare un contrasto cromatico con il nero di seppia, che staccasse sul fondo e facesse risaltare gli altri ingredienti. Alla texture consistente delle seppie, e a quella vagamente croccante dei piselli (che ho volutamente evitato di stracuocere per mantenerli più turgidi e verdi), ho associato così un elemento cremoso e morbido come il purè di patate – che a giugno iniziano a comparire sui banchi dei mercati – ma tingendolo di un colore insolito che incuriosisse il destinatario del piatto.

Il sapore complessivo mi è sembrato armonioso, delicato, fresco ma saporito; il purè mi ha veramente conquistata perché, lungi dal sopraffare il sapore delle seppie, contribuisce ad esaltarlo in maniera sfumata, come un sottotono musicale.

Per quanto riguarda la disposizione sul piatto…be’, devo ammettere che ci ho pensato parecchio! Ho fatto moltissimi schizzi e bozze (orrendi, date le mie capacità artistiche), ma senza avere sott’occhio il colore reale degli ingredienti e la loro consistenza era difficile immaginare l’effetto finale e, di conseguenza, scegliere.
Alla fine mi sono decisa per una disposizione che sembrava accordarsi bene con la pacata leggerezza di questo piatto. Volevo gli ingredienti ben distinti e riconoscibili, in modo da valorizzare ognuno di essi nel tono cromatico e nella forma. Una disposizione semplice e pulita, un piatto sgombro, che desse una sensazione di ordine. Al tempo stesso, però volevo evitare un’eccessiva simmetria – alla quale, mio malgrado, sono solita tendere. Per questo, per esempio, ho inserito il ricciolo di seppia nell’angolo del piatto: un particolare piccolo ma sufficiente, a mio parere, a spezzare la regolarità dell’insieme.

Un altro caposaldo che mi ha guidato era la volontà di realizzare un piatto facile da mangiare, eater-friendly, dove con una forchettata si potessero abbracciare tutti gli elementi per assaporarli assieme, come mi sembra logico in un piatto che non voglia essere solo la somma slegata di un certo numero di preparazioni. In questo caso, mi sembra che il risultato sia stato raggiunto: sono io stessa la testimone, che mi sono gustata con facilità questo piatto, senza neanche bisogno del coltello.

Trattandosi di pesce, nella mia composizione volevo richiamare in qualche modo il moto marino, ma di un mare profondo, quieto e pacifico. Così, ho deciso di disporre il purè sotto forma di pennellate lisce, come onde di un mare calmo e regolare, nel quale tante piccole seppioline scivolano, cullate in un placido moto perpetuo. I pisellini, invece, mi ricordano un prato. Cosa c’entra la profondità del mare con verdi prati? C’entra. Perché uno dei miei luoghi del cuore è un affaccio sulle Highlands scozzesi dove, in un primo mattino sereno e senza vento, ho visto un prato a ridosso del mare, immediatamente contiguo alla spiaggia. Un prato dove mille margheritine e vividi fili d’erba si protendevano fin quasi nelle acque salate, in una commistione tra le più insolite che abbia mai visto.

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L’idea iniziale era di inserire altri elementi di contorno, per riempire e ravvivare il piatto, ma il progetto iniziale si è poi adattato alle impressioni avvertite mentre il risultato concreto si formava sotto ai miei occhi. Avevo pensato a gocce di composta di pomodoro, ma mi sono resa conto che il rosso avrebbe creato troppo contrasto, un effetto arlecchino che non mi piaceva. Poi ho pensato a dei pinoli, il cui color avorio avrebbe richiamato il bianco delle seppie. Infine a delle foglioline di timo, il cui sapore si sarebbe accordato bene al resto. Ho fatto anche delle prove, reversibili, ma alla fine non ero convinta, e in nessun modo volevo inserire elementi che fossero solo estetici, non funzionali al gusto del piatto.

A guardarlo adesso, penso che forse avrei potuto aggiungere qualcosa che completasse il tutto, ma più elementi si introducono, più è difficile armonizzarli e mantenere l’equilibrio dell’insieme, per cui non ho voluto strafare. Del resto, in qualsiasi ambito la mia tendenza innata è di ridurre, sottrarre, semplificare. A volte la combatto, provo a forzarmi, ma vince sempre lei. Per me, less is more. E se questa doveva essere la mia proposta di impiattamento, posso dire che in così, almeno, mi rispecchia appieno.

MARE CALMO – Insalatina di seppie e piselli con purè al nero di seppia

Dose: 2 persone       Tempo di preparazione: 4o minuti      Tempo di cottura: 40′ + 20′ + 10′

  • 4 seppie di piccole dimensioni (circa 450 gr)
  • 2 spicchi d’aglio
  • 200 gr di piselli freschi sgranati
  • olio extravergine d’oliva
  • sale

Per il purè:

  • 2 patate di medie dimensioni (circa 300 gr)
  • 1 confezione di nero di seppia (se non avete quello delle seppie)
  • 30 gr di burro
  • circa 50 ml di latte
  • sale

Pulite le seppie eliminando il rostro e la sacca interna, tenendo da parte il nero. Tagliate i tentacolini, poi aprite la sacca e rifilatela a formare un rettangolo. Praticate delle incisioni parallele al lato lungo con un coltello affilato tenuto a 45° e poi tagliateli a striscioline sul lato corto. Questo tipo di taglio vi consentirà di avere una sorta di ricciolini una volta cotti. Altrimenti potete semplicemente tagliarli a striscioline o ad anelli, in questo caso senza prima aprire le sacche.

In una casseruola, scaldate l’aglio privato del germe interno, poi rimuovetelo e versatevi le seppie tagliate a pezzetti. Fate cuocere a fiamma media per circa 10 minuti.
In un pentolino, cuocete i piselli con poca acqua, scoperti e a fiamma vivace, aggiungendo acqua quando serve e salando a metà cottura. In base alle dimensioni dei piselli serviranno circa 20-25 minuti. Io ho preferito cuocerli un po’ meno del solito per evitare che si avvizzissero e mantenessero così la loro freschezza

Sbucciate le patate e lessatele in abbondante acqua salata finché non sono tenere. Schiacciatele ancora calde e mescolatele con il burro, il latte e il nero di seppia. Aggiustate di sale. Se volete ottenere una consistenza perfettamente cremosa, passatele con il frullatore ad immersione.

Per la realizzazione del piatto ho disposto tre piccole cucchiaiate di purè sul piatto e le ho distribuite con un pennello da cucina, rifilando i bordi. All’inizio della pennellata ho disposto due archetti di seppie e, a metà, mezzo tentacolino. Ho distribuito i piselli e…il piatto era pronto.

Ovviamente, al di là del contest, il piatto può essere presentato in maniera tradizionale, unendo i piselli alle seppie a fine cottura e accompagnandole con il purè.

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Con questa ricetta partecipo al contest “Bello e buono” di Taste&More

taste and more