Cavallucci di Siena

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La ricetta dei cavallucci è semplicissima ma la prima volta che li ho fatti avevo dosi sballate e mi è rimasta la paura del fallimento. Così ho consultato la Patty, Aurelia e la zia Paola, che non ha un blog ma è comunque un’autorità in materia culinaria, pensando che ci fosse chissà quale segreto. Per poi capire che bastava avere la ricetta corretta.
Il risultato è ottimo nel sapore (si sono volatilizzati in men che non si dica…io vi consiglio doppia dose) e abbastanza buono nell’aspetto, anche se i cavallucci dovrebbero essere un po’ meno schiacciati, quasi tendenti alla forma cilindrica. La prossima volta basterà compattarli un po’ di più perché non si allarghino troppo in cottura.

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I cavallucci sono dolci tradizionali senesi che oggi si mangiano solo sotto Natale, ma che in passato erano ben più diffusi.
Gli ingredienti caratterizzanti sono canditi, noci e anice. Si possono aggiungere altre spezie che trovate nel testo della ricetta ma io li preferisco senza, per apprezzare al meglio il sapore di anice.

Sono dolci di una volta, un po’ fuori moda, ma mi piacciono moltissimo. Ricordo che erano la passione della mia nonna materna (la nonna Elia della quale conservo con amore la ricetta della mantovana) e quando ero piccola proprio non capivo cosa ci trovasse in questi tronchetti bitorzuoli e raggrinziti. Adesso li adoro, a patto che siano morbidi come devono essere, e non rinsecchiti dalla lunga permanenza nella dispensa.
Sul significato di questo mutamento di gusti, lascio a voi ogni considerazione.

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La preparazione è molto semplice, basta non far bollire troppo lo sciroppo di zucchero e lavorare il tutto piuttosto velocemente: in questo modo si eviterà che i cavallucci diventino duri e li potrete gustare al meglio.
A tal fine è utile la presenza di una piccola percentuale di miele, che li aiuta a mantenere una certa umidità.

L’origine del nome è, come sempre, incerta. Una delle ipotesi è che anticamente vi venisse impressa sopra l’immagine di un cavallino o del suo zoccolo, o forse era proprio la forma, con l’avvallamento centrale, che ricordava lo zoccolo equino. Anche per questo, forse, si pensa che fossero spesso consumati nelle stazioni di posta, laddove i viaggiatori si fermavano per rifocillarsi e far riposare i cavalli (fonte: www.nicolanatili.it).

In origine dovevano essere molto più semplici della versione che conosciamo oggi: niente noci e canditi, solo farina, miele e zucchero. E anice, ovviamente. Si sono arricchiti nel corso dei secoli, per incontrare i gusti sempre più esigenti della borghesia e con il tempo ne fu creata una versione di grandi dimensioni, i cosiddetti berriquocoli.

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CAVALLUCCI DI SIENA

Dosi: 8-9 cavallucci       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 15 minuti

Ingredienti

  • 220 g di farina 00
  • 115 g di zucchero
  • 15 g di miele
  • 70 g di noci sgusciate
  • 40 di arancia e cedro canditi
  • 80 ml di acqua
  • 5 g di ammoniaca per dolci
  • 1 cucchiaino raso di semi di anice
  • 4 g di spezie miste (noce moscata, coriandolo, cannella)
  • zucchero a velo e farina q.b.

Procedimento

Pestate finemente i semi di anice.
Mescolate la farina con le noci spezzettate, i canditi, l’ammoniaca, l’anice e le altre spezie.
In un pentolino, fate sciogliere lo zucchero e il miele con l’acqua, portate a 120° (una volta sciolti, basterà far bollire la soluzione per un paio di minuti circa, fino a quando le bollicine non diventano piccole) e versate sulla miscela di farina. Impastate velocemente e formate un lungo salsicciotto del diametro di 5 cm circa.
Tagliatelo in cilindretti alti circa 3 cm, compattateli con le mani e rotolateli in un piatto dove avrete miscelato farina e zucchero a velo in parti uguali. Fate un leggero solco sulla parte superiore, premendo con il pollice e sistemateli su una placca foderata di carta forno.
Cuocete a 130° per 15 minuti circa.
Non vi preoccupate se quando li sfornate sembrano ancora morbidi: si solidificheranno piano piano.
Aspettate qualche ora prima di consumarli. Si conservano chiusi dentro sacchettini di plastica.

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Basbousa – Dolcetti arabi di semolino, mandorle e acqua di rose

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Oggi andiamo in trasferta e facciamo una piccola incursione nella cucina araba, con un dolce molto semplice, diffuso in Nord Africa, Egitto e Siria…ma anche Arabia Saudita. La ricetta, infatti, viene dalle pagine della arcinota Araba Felice…non la conoscete?!? Correte a vedere il suo blog allora!
Io la seguo da tempo e mi piace da morire…soprattutto perché è l’opposto di me! Furba e arguta, propone ricette veloci ma di grande effetto. Una che cerca scorciatoie, si semplifica la vita e trova soluzioni geniali…oltre ad avere un gran senso dell’umorismo per cui in ogni suo post ci scappa la risata. Ovvio che sia un mito, per chi invece la vita se la complica, sembra sempre cercare la strada più complicata e fa collezione di bicchieri d’acqua nei quali perdersi…Araba mandami un po’ del tuo influsso, va’! 😉

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Sciocchezze a parte, questa ricetta aspettava da un bel po’ e ora che più forte si fa il desiderio di viaggiare ed esplorare (quanto manca alle ferie?!?) ho deciso di vagare con la mente nel caldo clima mediorientale, aiutandomi con dei dolcetti che mi sono piaciuti molto.
Un semplice impasto a base di latte e semolino, cotto in forno e successivamente arricchito con uno sciroppo di zucchero all’acqua di rose che conferirà dolcezza e umidità.

L’usanza di inzuppare con sciroppi aromatizzati i dolci precedentemente cotti (al forno, ma più spesso fritti) è tipica della pasticceria mediorentale: credo che sia un modo per rendere più delicato e al tempo stesso persistente l’aroma che si sceglie di mettere nel dolce. L’aroma non subisce alte temperature perché viene aggiunto dopo la cottura e lo sciroppo lo veicola fino all’interno del dolce, conferendo al tempo stesso il tipico carattere appiccicoso che contraddistingue molti di questi dolci.

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Io ho seguito la ricetta di Stefania/Araba Felice ma dei basbousa esistono infinite versioni…come per ogni piatto della tradizione! C’è chi aggiunge farina di cocco, chi yogurt e chi latticello, mentre molte ricette prevedono ingenti quantità di burro, che qui è totalmente assente. Il risultato sarà, ovviamente, molto diverso. Con il cocco e il burro avrete un basbousa più dolce e umido, quasi fondente, ma anche molto più pesante. Con questa ricetta, invece, i dolcetti rimangono meno umidi e un po’ “zeppi”, ma sono molto leggeri per la digestione e il palato e niente affatto stucchevoli: se ne possono mangiare 5 di fila…parola mia.

Non abbiate paura per la presenza dell’acqua di rose (che potete comunque sostituire con acqua di fiori d’arancio) perché si armonizza alla perfezione con il resto ed è appena percepibile, se non come vago aroma che arricchisce il bouquet di sapori del basbousa. Se non lo avete a disposizione (come me), vi spiego sotto come prepararlo.

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BASBOUSA – DOLCETTI DI SEMOLINO MANDORLE E ACQUA DI ROSE

Dose: circa 15 dolcetti       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 25-30 minuti

  • 250 gr di semolino
  • 75 ml di latte
  • 60 gr di zucchero
  • 25 ml di acqua
  • 15 ml di olio di semi
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • circa 15 mandorle spellate

Per lo sciroppo:

  • 100 gr di zucchero
  • 60 ml di acqua
  • un cucchiaino di succo di limone
  • 1 cucchiaino scarso di miele
  • 1 cucchiaio di acqua di rose (o di acqua di fiori di arancio)

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Per l’acqua di rose

L’acqua di rose per uso alimentare si può acquistare nei negozi specializzati in articoli da pasticceria o in prodotti mediorientali (on line ne troverete molti). Non escludo che si possa trovare anche nelle erboristerie più fornite. Io, tuttavia, avevo dei petali di rosa essiccati per uso alimentare comprati tempo fa in un semplice supermercato (la marca è Borghini, se può esservi utile) e ho deciso di fare da sola l’acqua di rose, in dieci minuti.
Ho messo un cucchiaio di fiori in un pentolino con circa 50 ml di acqua, portato all’ebollizione e spento subito. Ho lasciato in infusione per circa un’ora, poi ho filtrato con un colino a maglie finissime, strizzato i fiori per ricavarne tutto il liquido e messo la mia acqua di rose in frigo, in una bottiglietta di vetro. Si conserva per una decina di giorni.

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Per i basbousa

In una casseruola, riscaldate il latte, l’acqua e l’olio; unite lo zucchero e mescolate finché non è sciolto. Unite allora il lievito (attenzione a che non faccia grumi) e il semolino, spegnete il fuoco e girate rapidamente per fargli assorbire tutto il liquido. Fate riposare 10 minuti.

Foderate una teglia di 15 x 14 cm con carta forno e distribuitevi il composto, livellandolo con il dorso di un cucchiaio inumidito. Con un coltello molto affilato incidete delle linee diagonali che disegnino dei rombi e ponete al centro di ogni rombo una mandorla, premendo bene per incastonarla nella superficie.
Cuocete a 180° in forno statico per 25 minuti.

Dieci minuti prima della fine della cottura mettete in un pentolino gli ingredienti per lo sciroppo e fate raggiungere una leggera ebollizione per circa 5 minuti. Mantenetelo ben caldo e non appena sfornate il dolce rovesciatevi sopra TUTTO lo sciroppo, avendo cura che si distribuisca uniformemente. A tal fine è importante che abbiate livellato bene la superficie prima della cottura, senza lasciare dossi e avvallamenti.
Io, con le mie solite fisime, non ho messo tutto lo sciroppo perché temevo che non sarebbe penetrato tutto all’interno e avrebbe formato una specie di strato appiccicoso in superficie. Con il senno di poi, sarebbe stato meglio metterlo tutto, perché così sarebbe arrivato fino in fondo e il dolce sarebbe stato perfettamente inzuppato. È però importante che lo versiate subito, non appena sfornate il dolce.
Fate riposare qualche ora e poi tagliate a bocconcini seguendo le linee precedentemente incise, in modo che su ogni porzione ci sia una mandorla.

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Note:

– I basbousa devono essere alti circa 1 cm. Per questa dose ho usato una teglia da 15 x 14 cm.

– Se decidete di usare l’acqua di fiori di arancio la quantità sarà la stessa dell’acqua di fiori di rose, mentre se scegliete l’essenza di fiori arancio, allora ne basteranno poche gocce.

– Sostituendo il latte con del latte di riso o di mandorle il sapore cambierà leggermente ma il dolce diventerà “dairy free”, ossia privo di latticini.

– Se oltre a sostituire il latte decidete di eliminare il miele dallo sciroppo, otterrete un dolce vegano.

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Barrette di amaranto, avena e frutta disidratata

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La mia coinquilina nel primo anno fiorentino si chiamava Amaranta.
Di temperamento vivace e allegro, studiava francese, vestiva vintage e adorava Parigi. Un tipo, sicuramente.
Se i genitori avessero inspiegabili certezze sui proprio geni o se abbiano tirato a caso non so, fatto sta che il nome era molto azzeccato. Con la sua cascata di capelli ricci rosso fuoco, Amaranta ricordava a meraviglia il fiore della pianta omonima, orgoglioso e svettante sul suo lungo stelo. Lei, a dirla tutta, era bassina, ma compensava con il pepe ciò che le mancava in altezza.

barrette amaranto-8Abbiamo condiviso la casa per un anno, senza troppa confidenza ma con una certa complicità, quasi un’alleanza ispirata dal fronteggiare le esigenze domestiche e le stramberie di Pierre, il terzo coinquilino. Francese sul serio, lui, e seriamente folle. Non che creasse troppo disturbo, ma una certa inquietudine sì.
Giornate intere chiuso nella sua stanzetta di 3 mq senza finestra, si muoveva solo per andare in bagno. Poi, per tre giorni non lo si vedeva, scomparso dalla faccia della terra con tutte le valigie ancora al loro posto. Ritornava a sorpresa negli orari più strani, più sconvolto e stordito di quando se ne era andato.
Le rare volte che decideva di usare la cucina tracciava un artistico arabesco di cornflakes sbriciolati e polvere di nescafè che si estendeva fino alla porta della sua camera. Lascio alla vostra fantasia quello che poteva accadere nei giorni in cui preparava il suo piatto forte: spaghetti (spezzati) con ketchup e parmigiano.
Perse le chiavi di casa per aver lasciato incustodita la borsa in discoteca, rimase chiuso dentro il bagno e fuori di casa (più volte), e per avere l’affitto bisognava iniziare il pressing una settimana prima della scadenza. Per le pulizie, invece, andava minacciato di morte, e i risultati erano sempre e comunque miserandi.
Ah, la France!

Per fortuna Pierre se ne andò dopo 4 mesi, con grande sollievo di tutti, e restammo io e Amaranta sole a condividere la casa. A parte quando veniva quel rozzo del suo fidanzato, ma delle incomprensibili scelte femminili in fatto di uomini parleremo un’altra volta.

Chissà dove è adesso Amaranta, se ha coronato il suo sogno di trasferirsi a Parigi o se è tornata sulle montagne toscane dove era nata… Di dove sia Pierre, francamente, me ne infischio.

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Dell’amaranto ho ormai parlato diverse volte (la prima qui) uno pseudo-cereale ricco di proteine, fibre e amminoacidi essenziali. Ha un sapore deciso, vagamente noccioloso e tostato che a me piace molto. Dopo gli sformati e i biscotti ho deciso di provarlo per fare delle piccole barrette, ottime per merenda o come spezzafame.
Per questo tipo di ricetta, come anche per i biscotti, l’amaranto deve prima essere “soffiato“, come accade per i pop corn, con un procedimento semplice, e relativamente veloce che vi spiego nel testo della ricetta.

Il bello di queste barrette è che le combinazioni di ingredienti sono potenzialmente infinite: potete aggiungere nocciole tritate, albicocche secche, bacche di goji, scaglie di cioccolata, semi di lino, di sesamo, di zucca…devo continuare o siete già usciti a fare la spesa?!

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BARRETTE DI AMARANTO, AVENA E FRUTTA DISIDRATATA

Dose: 8 barrette       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura: 30 minuti

Ingredienti

  • 70 gr di amaranto Nuova Terra
  • 40 gr di fiocchi d’avena
  • 25 gr di cocco disidratato in scaglie
  • 20 gr di frutti rossi
  • 20 gr di uvetta
  • 60 gr di miele
  • 30 gr di malto d’orzo

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Procedimento

Per prima cosa bisogna soffiare l’amaranto. Prendete una pentola dal fondo spesso e dalle pareti alte: quella in cui si cuoce la pasta andrà benissimo. Mettetela sopra al fuoco a fiamma vivace (io ho usato un o spargifiamma) e dopo 4-5 minuti versatevi un cucchiaio scarso di amaranto. Se il fondo non è ancora sufficientemente caldo non accadrà nulla: allora gettate l’amaranto e aspettate ancora un paio di minuti. Altrimenti vedrete che i chicchi iniziano a scoppiare, cioè si aprono e diventano bianchi proprio come accade con il pop corn. Il tempo di permanenza nella pentola deve essere brevissimo, altrimenti il calore li brucerà. Appena iniziano a scoppiare scuotete un po’ la pentola e fatela roteare per movimentare i chicchi e dopo qualche secondo rovesciateli in un piatto che avrete messo accanto a voi. Non tutti i chicchi si apriranno ma va bene così: quelli chiusi doneranno un aroma tostato che renderà più gustose le barrette.

Procedete mettendo nella pentola un cucchiaio per volta fino ad esaurimento dell’amaranto. Mescolatelo poi con i fiocchi di avena leggermente pestati nel mortaio e la frutta sminuzzata. Versate sopra a tutto il miele e il malto che avrete fatto sciogliere a fiamma bassissima e mescolate rapidamente. Se il composto risulta troppo slegato, aggiungete un paio di cucchiai di acqua. Versate il tutto in una teglia rivestita di carta forno di circa 15 x 20 cm, livellate la superficie con il dorso di un cucchiaio inumidito e cuocete a 150° per circa 30 minuti. Fate raffreddare una decina di minuti e poi tagliate le vostre barrette.
Si conservano in una scatola di latta o di plastica, meglio se separate da strati di carta forno per non farle attaccare.

Note: per fare delle barrette vegane basta sostituire il miele con malto d’orzo o sciroppo di acero o di agave.

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AMARANTH, OATMEAL AND DRIED FRUIT BARS

Makes: 8       Preparation time: 30 minutes       Cooking time: 30 minutes

  • 70 gr amaranth
  • 40 gr rolled oats
  • 25 gr dried coconut, grated
  • 20 gr dried berries, chopped
  • 20 gr raisins, chopped
  • 60 gr honey
  • 30 gr barley malt

How to do

First, prepare the puffed amaranth. Use a thick bottomed saucepan with high hedges, the type used to cook pasta. Warm it over medium fire for 5 minutes, then put inside a tablespoon of amaranth: in a few seconds it will blow up and become white. If not, the saucepan is not hot enough. Rotate the saucepan for a few seconds, then pour the amaranth in a plate and set aside. Not all the grains will be puffed but that’s ok: if you keep them for too much time in the pan they will be burnt. Go on with a tablespoon at a time until you puffed all the amaranth.
Mix the amaranth with the slightly crushed oats, the coconut and the dried fruits.
In a saucepan, warm lightly the honey and the malt, then pour over the mixture and mix quickly.
Adjust the mixture in a baking tray (15 x 20 cm) linen with baking paper and flatten the surface with the back of a damp spoon. Bake at 150° C/300° F for 30 minutes. Let cool for some minutes, then cut in rectangles.
Store them in a plastic airtight box with baking sheet between one and the other to prevent from sticking.

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