Sapori e luoghi di Garfagnana. Tagliatelle di grano saraceno con trota affumicata

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(Segue da qui). 
La Garfagnana è un territorio complesso, che sfida i suoi abitanti con molte difficoltà, ma offre anche tante risorse diversificate, base fondante delle microeconomie sulle quali si regge la regione.
E questo non avviene solo nel settore agricolo e forestale ma anche per attività artigianali che piano piano si stanno facendo strada nel mercato globale, come nel case del birrificio La Petrognola di Piazza al Serchio.blogtour garfagnana-61

Roberto, il titolare, ci illustra le fasi e gli impianti di produzione dove i cereali in chicco vengono macinati e immediatamente utilizzati per ridurre al minimo l’ossidazione. La produzione è molto ampia e a birre più comuni e facili da commercializzare si affiancano birre “speciali”, con luppoli selezionati, che sono destinate ai veri intenditori.

É a queste che Roberto tiene di più – è evidente dal calore e dall’entusiasmo con cui ne parla – ed è una di queste che ci fa assaggiare: la Indian Pale Ale al farro, che lascia tutti di stucco per l’intenso profumo di frutta esotica e il sapore invece piuttosto amaro ma piacevole.collage7

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Un’altra attività artigianale che spicca nel panorama locale è quella del caseificio Marovelli di San Romano di Garfagnana, che da 50 anni produce formaggi con latte vaccino, caprino e ovino. Tra i vari tipi di pecorino cito quello stagionato in foglie di castagno, mentre si differenzia dalle produzioni tradizionali locali il Bagiolo, un formaggio a crosta fiorita che ricorda il francese Brie.

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Tra la visita a La Petrognola e quella caseificio Marovelli, una piacevole diversione. Il pulmino guidato dal fidato Carmine ci porta a Giuncugnano, il Comune più elevato della provincia di Lucca, con i suoi 800 metri di altitudine, dove l’aria è più fresca e il panorama ancora più ampio.

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Qui ci concediamo un pranzo presso lAgriturismo Il Grillo, gestito dal giovane Stefano, che dopo anni di esperienza come chef all’estero ha deciso di scommettere sul suo territorio e gestire il piccolo ristorante legato all’omonima azienda agricola. Ma gli anni di formazione si fanno sentire e la sua non è affatto una cucina casalinga, bensì raffinata quanto basta per valorizzare la tradizione senza snaturarla.
Gustosi e ricercati gli antipasti con insalata di farro, arancini di farro, quiche di cipolle e formaggio su briseè…di farro! É evidente che questo cereale è il motivo ricorrente della gastronomia locale, ma è talmente versatile che non stanca mai e si resta sorpresi da quante declinazioni possa avere. La degustazione prosegue con tagliatelle di farro e ortica condite con ragù di rosmarino e salsiccia e, come dessert, una pastiera in chiave locale, con farro cotto nel latte vaccino e crema pasticciera, completato dalla confettura di lamponi dell’azienda agricola.

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La giornata si conclude con una passeggiata nel piccolo centro storico di Castelnuovo di Garfagnana, e con la cena al ristorante dell’Hotel La Lanterna.

Al risveglio ci accoglie un cielo plumbeo di pioggia ed è evidente che la visita al castagneto, alla quale tenevo tanto, non si farà. Ma Antonella sfodera i suoi assi nella manica e in 10 minuti elabora un programma alternativo di tutto rispetto.

A Gallicano visitiamo lallevamento di trote La jara (che significa ghiaia), lungo il torrente Turrite, al riparo di un alto costone roccioso, al centro del quale è incastonato l’eremo di Calomini.

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Uno dei fratelli Lorenzi, i proprietari, ci illustra come avviene la riproduzione delle trote in natura e in che modo viene effettuata nell’allevamento, dove si pratica anche l’affumicatura con i legni aromatici della foresta soprastante.
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Fino a pochi anni fa le trote venivano allevate solo per rifornire i laghetti di pesca sportiva e la tendenza era quindi di farle crescere rapidamente, nutrendole in maniera massiccia.
Di recente, invece, la produzione è stata convertita a fini alimentari e le trote della Jara arrivano sulle tavole di molti ristoranti locali; adesso i pesci vengono fatti crescere con tempi simili a quelli naturali e nutriti con mangimi a base di farina di pesce: così sono meno stressati e ottimali per il consumo alimentare. Ne abbiamo avuto un assaggio all’Osteria Vecchio Mulino e non ci facciamo scappare l’occasione per acquistarne un po’ in loco.

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Nel frattempo il cielo si è aperto e quando arriviamo a Podere Concori splende il sole.
Gabriele ci racconta la sua storia, di come si sia sottratto ai ritmi frenetici della ristorazione per ritirarsi in questo angolo di Garfagnana a produrre vini biodinamici. Un progetto nel quale nessuno avrebbe scommesso, perché questa terra non ha mai avuto una forte vocazione vitivinicola, figurarsi se si tratta di fare vino senza l’aiuto della chimica. Ma Gabriele ha creduto nel suo territorio ed è riuscito a valorizzarne le potenzialità; ha recuperato 4 ettari di bosco e ne ha ricavato 5 piccoli vigneti, destinando ogni appezzamento al vitigno più adatto in base ad una accurata valutazione del tipo di suolo, della ventilazione e dell’esposizione

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L’entusiasmo e la passione che lo guidano sono palpabili e si trasmettono attraverso il suo sorriso a noi che lo ascoltiamo.
Un altro esempio dello spirito dei garfagnini che rimangono, che amano così tanto la propria terra da non sopportare l’idea di abbandonarla, che trasformano le difficoltà in risorsa e spinta per emergere, che si ricavano una nicchia tutta speciale che gli consente di prosperare ma senza tradire il territorio dove risiedono le loro radici.

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Incredibilmente, tuttavia, dopo tanti esempi di attività appassionate e progetti virtuosi, ce n’è uno che – per me – spicca su tutti. Quello dove il recupero del passato e il rispetto del territorio è portato all’ennesima potenza. Anzi, non di recupero si deve parlare, perché alla Cerasa il ponte con il passato non si è mai interrotto.

Con il nostro pulmino saliamo tra i fitti boschi, saliamo e saliamo lungo una strada strettissima addossata al fianco della montagna, mentre sull’altro versante si apre una scenario maestoso di foreste verdeggianti e valli nascoste. Si respira un’aria di sacralità, di calma sovrana e irreale, come se i mille occhi del genius loci ci osservassero, curiosi, addentrarci nel folto del suo regno.

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Dopo l’ennesima curva, compare una casetta di pietra linda e ordinata, quasi di fiaba, con gerani rossi all’ingresso e un piccolo pergolato su pali di legno. Tutto intorno, quiete e castagni.
La Cerasa, nel Comune di Pieve Fosciana, è un’azienda che vive grazie alla multifunzionalità e alle piccole produzioni diversificate, ma è soprattutto una famiglia. Mario Cavani, il patriarca, ha vissuto tra questi boschi per 40 anni, e con lui la moglie Gemma e la figlia Ombretta.

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A questa altitudine (960 m s.l.m.) e con questa conformazione geografica, non si può vivere di un’unica attività, e allora si sfrutta, con rispetto, tutto quello che offre la natura. Si allevano pecore e si lavora la lana, si producono formaggio, salumi e carne di agnello, si raccolgono le castagne e se ne fa farina (c’è anche la possibilità di adottare un castagno e i suoi frutti), si raccolgono le noci, si fanno confetture. Attività antiche, umili e al tempo stesso nobili, dove la tecnologia è impiegata in minima parte e la differenza la fa la mano dell’uomo.

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Il progetto più importante, però, è il recupero della pecora garfagnina bianca, una razza appenninica a triplice attitudine (latte, lana e carne) che fino agli anni ’50 contava moltissimi esemplari. Negli anni del boom economico, però, molte zone montane furono abbandonate e gran parte delle pecore garfagnine furono sostituite dalle nere massesi, che producono più latte ma mal si adattano a questi climi.
Nel 2004 erano rimasti soltanto 20 esemplari di pecora garfagnina; grazie all’azione congiunta dell’Unione dei Comuni, delle Università di Pisa e Firenze e dell’Associazione Provinciale Allevatori è stata reintrodotta nell’azienda di Cerasa (di proprietà della Regione Toscana), nel suo territorio naturale. Oggi ne esistono più di 1000 capi in tutto il territorio garfagnino.

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La pecora garfagnina è molto rustica, si adatta a brucare ogni tipo di erba e a qualsiasi tipo di terreno; produce meno latte rispetto alla massese ma con una maggiore percentuale di grassi, per cui la resa in termini di formaggio è identica. Ed è un formaggio particolarmente gustoso in virtù delle erbe di cui si nutrono le pecore, che vivono per la maggior parte del tempo su ricchi e profumati pascoli di altura.

La resa quantitativa e la qualità del prodotto (che ha così anche una forte valenza territoriale e identitaria) è un aspetto essenziale perché qualsiasi forma di recupero  – che si tratti di animali, come in questo caso, o di piante, come accade nella banca del germoplasma di Camporgiano – rimane un esercizio sterile se non ha sostenibilità economica. Solo così le azioni intraprese dai singoli e dalle amministrazioni non rimangono fini a se stesse ma hanno ricadute effettive sull’economia del territorio e sulla vita delle persone che lo abitano.
Le scelte politico-amministrative, anche nel piccolo raggio, non sono mai insignificanti, ma hanno il potere di intervenire nella realtà delle cose e darle un indirizzo preciso. E la fortuna della Garfagnana è anche aver trovato amministratori capaci di comprenderla e valorizzarla nelle sue qualità migliori.

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Quando entriamo nella piccola baita di Cerasa è come fare un salto indietro nel tempo. Ricordi di un tempo lontano che ho appena sfiorato, svanito via prima che potessi fissarlo dentro di me. Le cucine calde e semibuie delle nonne di campagna, quando neon e faretti erano di là da venire, le vetrine di legno massiccio che ospitano tazze e piattini con il filo dorato, due pesanti tavoli di legno con una tovaglia a quadretti rossi e bianchi, soffitti bassi e infissi scuri.
Una casa, un rifugio accogliente, una tana. Questo sono le due stanze della Cerasa quando entriamo.
Ci sediamo ai due lunghi tavoli che occupano una stanza, in un’atmosfera calda e conviviale; mangiamo salumi e formaggi fatti da Mario, la pasta al salvietto, che ormai nessuno sa più fare più, e un arrosto misto di agnello, pollo e maiale con patate, tra i più buoni che abbia mai mangiato (e io adoro l’arrosto!).

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Dopo pranzo, la proiezione del cortometraggio pluripremiato “Bianca e gli altri” (potete vederlo qui), di Roberto Giomi e Antonella Giusti, dove si racconta per immagini la vita dei pastori, la transumanza, il meraviglioso Appennino e la sua natura. In poco più di 20 minuti tante immagini bellissime, toccanti e, soprattutto, vere. Lo so per certo, ora che sono stata qui. Inutile parlarne tanto. Guardatelo.

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Il nostro blogtour termina qui, in un luogo di sogno, dove il tempo si è fermato, dove si conoscono ancora il sacrificio, la fatica del lavoro e – di conseguenza – il valore delle cose.

Mi sento un po’ stupida, qui, con il mio smartphone, l’ossessione di essere costantemente connessa e i miei strumenti di modernità, che ora mi appaiono solo gabbie. Qui, dove non c’è linea, non c’è campo, non c’è segnale, capisco quanto si possa essere ancora liberi e cogliere il senso delle cose.
Vivere seguendo il ritmo del sole e delle stagioni, uomini che tornano nel loro ambiente naturale, in una natura niente affatto idilliaca, a volte dura e impietosa, che va plasmata, ma sempre con profondo rispetto.
Sarebbe bello passare del tempo qui. Sarebbe facile ascoltarsi, sentire chi siamo, nel fisico e nell’anima, capire che il senso che cerchiamo di continuo, in fondo, è una cosa semplice a portata di mano.

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N.B.: vorrei ringraziare tutte le persone che hanno contribuito all’organizzazione del blog tour e che ci hanno accolto con tanto entusiasmo e passione: Stefano Bertolini (Agriturismo Il Grillo), Mario, Gemma e Ombretta Cavani (Azienda agricola Cerasa), Gabriele Da Prato (Podere Concori), Paolo Fantoni (presidente Unione dei Comuni), Sandro Fioroni (dirigente Unione dei Comuni), Roberto Giannarelli (birrificio La Petrognola), fratelli Lorenzi (allevamento La Jara), Antonella Poli (responsabile dell’Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica Garfagnana), Annarita Rossi (organizzazione blog tour), Andrea Tagliasacchi (sindaco Castelnuovo di Garfagnana), l’Hotel La Lanterna di Castelnuovo di Garfagnana.

TAGLIATELLE DI GRANO SARACENO CON TROTA AFFUMICATA E CREMA DI FINOCCHI

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 30 minuti

Ingredienti

  • 160 g tagliatelle di semola di grano duro e grano saraceno (della Garfagnana Coop)
  • 60 g trota affumicata (allevamento La Jara)
  • 2 finocchi piccoli (o 1 grande)
  • 80 g cipolla rossa (al netto degli scarti)
  • 3 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • vino bianco q.b.
  • sale

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Procedimento

Affettate finemente la cipolla e scaldatela nell’olio per qualche minuto. Sfumate con poco vino bianco, fate evaporare e unite i finocchi affettati molto sottili. Mescolate un paio di minuti, salate, aggiungete circa mezzo bicchiere d’acqua e fate cuocere coperto finché i finocchi non sono teneri, scoprendo negli ultimi minuti per far evaporare eventuale liquido in eccesso. Frullate e tenete da parte.
Lessate le tagliatelle in abbondante acqua salata e nel frattempo tagliate a listarelle la trota affumicata.
Scolate la pasta al dente, ripassatela in padella con la crema di finocchi (aggiungendo un paio di cucchiai di acqua di cottura se fosse troppo asciutta) e aggiungete la trota 30 secondi prima di spegnere il fuoco. Servite calda.

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Lasagne vegetariane: è più facile spezzare un atomo…

Niente da fare, per la maggior parte delle persone la parola “vegetariano” evoca ancora piatti tristi e sconditi, cruditè di verdure e menù punitivi. Come se i piatti senza carne nè pesce fossero un’aberrazione, un’invenzione perversa e contro natura creata da chi vuole (o deve) rinunciare alle proteine animali, e allora è costretto a trovare insipidi surrogati. Quello che continua a stupirmi è che anche molte persone che io ritengo di buon senso la vedono in quest’ottica. Poi magari si trovano ad una cena in cui – per caso o per scelta – non compaiono carne nè pesce, eppure tutti fanno onore alla tavola e proclamano di aver mangiato con gusto: non era forse una cena vegetariana? Ma guai a dirlo, per carità, pena provocare in essi incredulità e sgomento: è mai possibile che mangiare vegetariano corrisponda a mangiare con gusto?! E qui entra in scena il famoso aforisma di Einstein, secondo il quale è più semplice spezzare un atomo che un pregiudizio. E purtroppo non vale soltanto in campo gastronomico…

Queste lasagne per me sono particolarmente gustose: chissà che non servano a convincere qualche accanito anti-vegetariano che un buon pasto non richiede necessariamente carne? 🙂
Io ho utilizzato alcune delle verdure di stagione che preferisco (tranne una, che è decisamente estiva…trova l’intruso!), ma ovviamente potete sostituirle con altre a seconda dei vostri gusti.

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Per quanto riguarda la pasta ho utilizzato le lasagne Barilla secche; nella confezione c’era scritto che non serviva precottura, ma secondo me tendono a restare un po’ durette, a meno che non utilizziate una besciamella molto liquida e le cuociate per almeno 40 minuti (contro i 20 consigliati sulla confezione). In alternativa, potete comprare le lasagne fresche che si trovano nel banco frigo.
La dose è per circa 6 persone, ma considerate che io ho messo soltanto 3 strati di pasta e sono stata invece piuttosto generosa nel condimento. Se vi piacciono le lasagne iperstratificate, considerate che vi servirà più pasta.

LASAGNE VEGETARIANE

  • 250 gr di sfoglia per lasagne
  • besciamella (dose con 50 gr di burro)
  • 5 carote
  • 2-3 finocchi
  • 2 cavoli broccoli di medie dimensioni
  • 120 gr di piselli già lessati
  • 1 porro
  • parmigiano grattugiato
  • olio

Lavate  e pulite le verdure fresche, tagliatele a pezzi grossolani e lessatele, scolandole quando sono ancora un po’ al dente. Tagliate il porro a rondelle sottili e fatelo soffriggere in abbondante olio per qualche minuto. Sminuzzate le verdure precedentemente lessate e unitele al porro. Aggiustate di sale e fate cuocere per 10 minuti a fiamma viva, aggiungendo un po’ di acqua calda se dovessero asciugarsi troppo. Unite i piselli quasi alla fine.

Ungete bene il fondo di una pirofila da forno, mettete uno strato di pasta, coprite con qualche cucchiaio di besciamella, poi con le verdure e infine con un po’ di parmigiano. Ripetete l’operazione tante volte quanti sono gli strati che volete fare, e nell’ultimo abbondate con il parmigiano. Cuocete a 200° per circa 30 minuti (il tempo di cottura varia in base alla poasta che avete scelto). Sfornate e fate raffreddare qualche minuto prima di servire.