Sapori e luoghi di Garfagnana. Tagliatelle di grano saraceno con trota affumicata

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(Segue da qui). 
La Garfagnana è un territorio complesso, che sfida i suoi abitanti con molte difficoltà, ma offre anche tante risorse diversificate, base fondante delle microeconomie sulle quali si regge la regione.
E questo non avviene solo nel settore agricolo e forestale ma anche per attività artigianali che piano piano si stanno facendo strada nel mercato globale, come nel case del birrificio La Petrognola di Piazza al Serchio.blogtour garfagnana-61

Roberto, il titolare, ci illustra le fasi e gli impianti di produzione dove i cereali in chicco vengono macinati e immediatamente utilizzati per ridurre al minimo l’ossidazione. La produzione è molto ampia e a birre più comuni e facili da commercializzare si affiancano birre “speciali”, con luppoli selezionati, che sono destinate ai veri intenditori.

É a queste che Roberto tiene di più – è evidente dal calore e dall’entusiasmo con cui ne parla – ed è una di queste che ci fa assaggiare: la Indian Pale Ale al farro, che lascia tutti di stucco per l’intenso profumo di frutta esotica e il sapore invece piuttosto amaro ma piacevole.collage7

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Un’altra attività artigianale che spicca nel panorama locale è quella del caseificio Marovelli di San Romano di Garfagnana, che da 50 anni produce formaggi con latte vaccino, caprino e ovino. Tra i vari tipi di pecorino cito quello stagionato in foglie di castagno, mentre si differenzia dalle produzioni tradizionali locali il Bagiolo, un formaggio a crosta fiorita che ricorda il francese Brie.

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Tra la visita a La Petrognola e quella caseificio Marovelli, una piacevole diversione. Il pulmino guidato dal fidato Carmine ci porta a Giuncugnano, il Comune più elevato della provincia di Lucca, con i suoi 800 metri di altitudine, dove l’aria è più fresca e il panorama ancora più ampio.

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Qui ci concediamo un pranzo presso lAgriturismo Il Grillo, gestito dal giovane Stefano, che dopo anni di esperienza come chef all’estero ha deciso di scommettere sul suo territorio e gestire il piccolo ristorante legato all’omonima azienda agricola. Ma gli anni di formazione si fanno sentire e la sua non è affatto una cucina casalinga, bensì raffinata quanto basta per valorizzare la tradizione senza snaturarla.
Gustosi e ricercati gli antipasti con insalata di farro, arancini di farro, quiche di cipolle e formaggio su briseè…di farro! É evidente che questo cereale è il motivo ricorrente della gastronomia locale, ma è talmente versatile che non stanca mai e si resta sorpresi da quante declinazioni possa avere. La degustazione prosegue con tagliatelle di farro e ortica condite con ragù di rosmarino e salsiccia e, come dessert, una pastiera in chiave locale, con farro cotto nel latte vaccino e crema pasticciera, completato dalla confettura di lamponi dell’azienda agricola.

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La giornata si conclude con una passeggiata nel piccolo centro storico di Castelnuovo di Garfagnana, e con la cena al ristorante dell’Hotel La Lanterna.

Al risveglio ci accoglie un cielo plumbeo di pioggia ed è evidente che la visita al castagneto, alla quale tenevo tanto, non si farà. Ma Antonella sfodera i suoi assi nella manica e in 10 minuti elabora un programma alternativo di tutto rispetto.

A Gallicano visitiamo lallevamento di trote La jara (che significa ghiaia), lungo il torrente Turrite, al riparo di un alto costone roccioso, al centro del quale è incastonato l’eremo di Calomini.

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Uno dei fratelli Lorenzi, i proprietari, ci illustra come avviene la riproduzione delle trote in natura e in che modo viene effettuata nell’allevamento, dove si pratica anche l’affumicatura con i legni aromatici della foresta soprastante.
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Fino a pochi anni fa le trote venivano allevate solo per rifornire i laghetti di pesca sportiva e la tendenza era quindi di farle crescere rapidamente, nutrendole in maniera massiccia.
Di recente, invece, la produzione è stata convertita a fini alimentari e le trote della Jara arrivano sulle tavole di molti ristoranti locali; adesso i pesci vengono fatti crescere con tempi simili a quelli naturali e nutriti con mangimi a base di farina di pesce: così sono meno stressati e ottimali per il consumo alimentare. Ne abbiamo avuto un assaggio all’Osteria Vecchio Mulino e non ci facciamo scappare l’occasione per acquistarne un po’ in loco.

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Nel frattempo il cielo si è aperto e quando arriviamo a Podere Concori splende il sole.
Gabriele ci racconta la sua storia, di come si sia sottratto ai ritmi frenetici della ristorazione per ritirarsi in questo angolo di Garfagnana a produrre vini biodinamici. Un progetto nel quale nessuno avrebbe scommesso, perché questa terra non ha mai avuto una forte vocazione vitivinicola, figurarsi se si tratta di fare vino senza l’aiuto della chimica. Ma Gabriele ha creduto nel suo territorio ed è riuscito a valorizzarne le potenzialità; ha recuperato 4 ettari di bosco e ne ha ricavato 5 piccoli vigneti, destinando ogni appezzamento al vitigno più adatto in base ad una accurata valutazione del tipo di suolo, della ventilazione e dell’esposizione

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L’entusiasmo e la passione che lo guidano sono palpabili e si trasmettono attraverso il suo sorriso a noi che lo ascoltiamo.
Un altro esempio dello spirito dei garfagnini che rimangono, che amano così tanto la propria terra da non sopportare l’idea di abbandonarla, che trasformano le difficoltà in risorsa e spinta per emergere, che si ricavano una nicchia tutta speciale che gli consente di prosperare ma senza tradire il territorio dove risiedono le loro radici.

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Incredibilmente, tuttavia, dopo tanti esempi di attività appassionate e progetti virtuosi, ce n’è uno che – per me – spicca su tutti. Quello dove il recupero del passato e il rispetto del territorio è portato all’ennesima potenza. Anzi, non di recupero si deve parlare, perché alla Cerasa il ponte con il passato non si è mai interrotto.

Con il nostro pulmino saliamo tra i fitti boschi, saliamo e saliamo lungo una strada strettissima addossata al fianco della montagna, mentre sull’altro versante si apre una scenario maestoso di foreste verdeggianti e valli nascoste. Si respira un’aria di sacralità, di calma sovrana e irreale, come se i mille occhi del genius loci ci osservassero, curiosi, addentrarci nel folto del suo regno.

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Dopo l’ennesima curva, compare una casetta di pietra linda e ordinata, quasi di fiaba, con gerani rossi all’ingresso e un piccolo pergolato su pali di legno. Tutto intorno, quiete e castagni.
La Cerasa, nel Comune di Pieve Fosciana, è un’azienda che vive grazie alla multifunzionalità e alle piccole produzioni diversificate, ma è soprattutto una famiglia. Mario Cavani, il patriarca, ha vissuto tra questi boschi per 40 anni, e con lui la moglie Gemma e la figlia Ombretta.

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A questa altitudine (960 m s.l.m.) e con questa conformazione geografica, non si può vivere di un’unica attività, e allora si sfrutta, con rispetto, tutto quello che offre la natura. Si allevano pecore e si lavora la lana, si producono formaggio, salumi e carne di agnello, si raccolgono le castagne e se ne fa farina (c’è anche la possibilità di adottare un castagno e i suoi frutti), si raccolgono le noci, si fanno confetture. Attività antiche, umili e al tempo stesso nobili, dove la tecnologia è impiegata in minima parte e la differenza la fa la mano dell’uomo.

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Il progetto più importante, però, è il recupero della pecora garfagnina bianca, una razza appenninica a triplice attitudine (latte, lana e carne) che fino agli anni ’50 contava moltissimi esemplari. Negli anni del boom economico, però, molte zone montane furono abbandonate e gran parte delle pecore garfagnine furono sostituite dalle nere massesi, che producono più latte ma mal si adattano a questi climi.
Nel 2004 erano rimasti soltanto 20 esemplari di pecora garfagnina; grazie all’azione congiunta dell’Unione dei Comuni, delle Università di Pisa e Firenze e dell’Associazione Provinciale Allevatori è stata reintrodotta nell’azienda di Cerasa (di proprietà della Regione Toscana), nel suo territorio naturale. Oggi ne esistono più di 1000 capi in tutto il territorio garfagnino.

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La pecora garfagnina è molto rustica, si adatta a brucare ogni tipo di erba e a qualsiasi tipo di terreno; produce meno latte rispetto alla massese ma con una maggiore percentuale di grassi, per cui la resa in termini di formaggio è identica. Ed è un formaggio particolarmente gustoso in virtù delle erbe di cui si nutrono le pecore, che vivono per la maggior parte del tempo su ricchi e profumati pascoli di altura.

La resa quantitativa e la qualità del prodotto (che ha così anche una forte valenza territoriale e identitaria) è un aspetto essenziale perché qualsiasi forma di recupero  – che si tratti di animali, come in questo caso, o di piante, come accade nella banca del germoplasma di Camporgiano – rimane un esercizio sterile se non ha sostenibilità economica. Solo così le azioni intraprese dai singoli e dalle amministrazioni non rimangono fini a se stesse ma hanno ricadute effettive sull’economia del territorio e sulla vita delle persone che lo abitano.
Le scelte politico-amministrative, anche nel piccolo raggio, non sono mai insignificanti, ma hanno il potere di intervenire nella realtà delle cose e darle un indirizzo preciso. E la fortuna della Garfagnana è anche aver trovato amministratori capaci di comprenderla e valorizzarla nelle sue qualità migliori.

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Quando entriamo nella piccola baita di Cerasa è come fare un salto indietro nel tempo. Ricordi di un tempo lontano che ho appena sfiorato, svanito via prima che potessi fissarlo dentro di me. Le cucine calde e semibuie delle nonne di campagna, quando neon e faretti erano di là da venire, le vetrine di legno massiccio che ospitano tazze e piattini con il filo dorato, due pesanti tavoli di legno con una tovaglia a quadretti rossi e bianchi, soffitti bassi e infissi scuri.
Una casa, un rifugio accogliente, una tana. Questo sono le due stanze della Cerasa quando entriamo.
Ci sediamo ai due lunghi tavoli che occupano una stanza, in un’atmosfera calda e conviviale; mangiamo salumi e formaggi fatti da Mario, la pasta al salvietto, che ormai nessuno sa più fare più, e un arrosto misto di agnello, pollo e maiale con patate, tra i più buoni che abbia mai mangiato (e io adoro l’arrosto!).

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Dopo pranzo, la proiezione del cortometraggio pluripremiato “Bianca e gli altri” (potete vederlo qui), di Roberto Giomi e Antonella Giusti, dove si racconta per immagini la vita dei pastori, la transumanza, il meraviglioso Appennino e la sua natura. In poco più di 20 minuti tante immagini bellissime, toccanti e, soprattutto, vere. Lo so per certo, ora che sono stata qui. Inutile parlarne tanto. Guardatelo.

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Il nostro blogtour termina qui, in un luogo di sogno, dove il tempo si è fermato, dove si conoscono ancora il sacrificio, la fatica del lavoro e – di conseguenza – il valore delle cose.

Mi sento un po’ stupida, qui, con il mio smartphone, l’ossessione di essere costantemente connessa e i miei strumenti di modernità, che ora mi appaiono solo gabbie. Qui, dove non c’è linea, non c’è campo, non c’è segnale, capisco quanto si possa essere ancora liberi e cogliere il senso delle cose.
Vivere seguendo il ritmo del sole e delle stagioni, uomini che tornano nel loro ambiente naturale, in una natura niente affatto idilliaca, a volte dura e impietosa, che va plasmata, ma sempre con profondo rispetto.
Sarebbe bello passare del tempo qui. Sarebbe facile ascoltarsi, sentire chi siamo, nel fisico e nell’anima, capire che il senso che cerchiamo di continuo, in fondo, è una cosa semplice a portata di mano.

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N.B.: vorrei ringraziare tutte le persone che hanno contribuito all’organizzazione del blog tour e che ci hanno accolto con tanto entusiasmo e passione: Stefano Bertolini (Agriturismo Il Grillo), Mario, Gemma e Ombretta Cavani (Azienda agricola Cerasa), Gabriele Da Prato (Podere Concori), Paolo Fantoni (presidente Unione dei Comuni), Sandro Fioroni (dirigente Unione dei Comuni), Roberto Giannarelli (birrificio La Petrognola), fratelli Lorenzi (allevamento La Jara), Antonella Poli (responsabile dell’Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica Garfagnana), Annarita Rossi (organizzazione blog tour), Andrea Tagliasacchi (sindaco Castelnuovo di Garfagnana), l’Hotel La Lanterna di Castelnuovo di Garfagnana.

TAGLIATELLE DI GRANO SARACENO CON TROTA AFFUMICATA E CREMA DI FINOCCHI

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 30 minuti

Ingredienti

  • 160 g tagliatelle di semola di grano duro e grano saraceno (della Garfagnana Coop)
  • 60 g trota affumicata (allevamento La Jara)
  • 2 finocchi piccoli (o 1 grande)
  • 80 g cipolla rossa (al netto degli scarti)
  • 3 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • vino bianco q.b.
  • sale

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Procedimento

Affettate finemente la cipolla e scaldatela nell’olio per qualche minuto. Sfumate con poco vino bianco, fate evaporare e unite i finocchi affettati molto sottili. Mescolate un paio di minuti, salate, aggiungete circa mezzo bicchiere d’acqua e fate cuocere coperto finché i finocchi non sono teneri, scoprendo negli ultimi minuti per far evaporare eventuale liquido in eccesso. Frullate e tenete da parte.
Lessate le tagliatelle in abbondante acqua salata e nel frattempo tagliate a listarelle la trota affumicata.
Scolate la pasta al dente, ripassatela in padella con la crema di finocchi (aggiungendo un paio di cucchiai di acqua di cottura se fosse troppo asciutta) e aggiungete la trota 30 secondi prima di spegnere il fuoco. Servite calda.

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La zuppa garfagnina: un assaggio di Garfagnana

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Un altro blog tour targato AIFB (Associazione Italiana Food Blogger), questa volta in Garfagnana.
Ho scoperto che mi piace questo modo di conoscere un territorio: farselo raccontare da chi ci vive, entrarci dentro, andare al cuore. Ascoltare storie, vite, scommesse, come una serie di puntini che, appena si allontana lo sguardo, compongono un disegno più grande.

Il viaggio in Garfagnana inizia in una mattinata grigia e nebbiosa con il saluto delle autorità locali presso la fortezza di Mont’Alfonso, complesso di fine ‘500, voluto da Alfonso II d’Este, la cui casata governò il territorio di Castelnuovo di Garfagnana dal XV fino all’inizio del XIX secolo. Con noi c’è anche Antonella Poli: sempre presente e pronta a soddisfare le nostre curiosità, organizzatrice perfetta anche nell’imprevisto, è stata il vero angelo custode del blog tour.

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Sin da subito, dopo la proiezione del video “Garfagnana: dove il tempo non corre”, nelle parole di presentazione del sindaco di Castelnuovo, del presidente e del direttore dell’Unione dei Comuni percepisco valori che ritroverò più volte nei giorni successivi: solidità, attaccamento alla tradizione, consapevolezza della propria identità. E, al tempo stesso, un forte slancio per restare al passo con i tempi, per sopravvivere senza snaturarsi, per contrastare la tendenza all’abbandono insita in un territorio marginale e complesso eppure ricco di risorse.

Dopo la presentazione, in un altro degli edifici che compongono la fortezza estense visitiamo la mostra di grafica e fumetti “L’Orlando Curioso”, dove, a 500 anni dalla prima pubblicazione, il poema di Ludovico Ariosto – che di Castelnuovo di Garfagnana fu governatore per due anni per conto degli Este – diventa una graphic novel incentrata sul tema del fantastico e dell’eterno viaggio di ricerca individuale.

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Dalla sommità della collina che ospita la fortezza ammiro il panorama, per quel che mi consentono le basse nuvole che sembrano più banchi di nebbia, e già comprendo di essere in un territorio di confine, che fa da cerniera tra Toscana ed Emilia. Non a caso, nei secoli fu dominato a lungo dagli Este, prima di passare alla Repubblica di Lucca.

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A pranzo, tutti da Andrea. Siamo ospiti dell’Osteria Vecchio Mulino ma il clima è così familiare e raccolto che sembra davvero di essere a casa di Andrea Bertucci, l’imponente e rubicondo proprietario di questa piccola enoteca/gastronomia di Castelnuovo di Garfagnana. Una sola stanza, pochi posti a sedere, pareti tappezzate di bottiglie e prodotti tipici, atmosfera calda da vera taverna.

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Qui si degustano essenzialmente taglieri e noi assaggiamo quello del pellegrino, ricchissimo di preziose specialità: manzo di pozza, prosciutto bazzone, la mondiola (una specie di salame), il lardo e il biroldo (sanguinaccio). E poi formaggi, torte salate, pane di castagne e il pane di patate tipico della Garfagnana. Andrea ci descrive ogni prodotto mentre lo mangiamo; le sue parole vanno indietro nei secoli e illustrano modi di produrre che sono il risultato della necessità, di quando non c’erano le tecnologie attuali e solo l’abilità e l’esperienza consentivano di ottenere dei prodotti che si conservassero nel tempo.

Il biroldo, il pane di patate e il prosciutto bazzone sono anche dei presìdi Slow Food.

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Il prodotto forse più famoso della Garfagnana è però il farro, uno dei cereali più antichi, coltivato già nel 7000 a.C. e divenuto tipico nell’alimentazione dei Romani. Il farro ha esigenze nutrizionali inferiori rispetto ad altri cereali e per questo è adatto a terreni rustici, di bassa montagna e non eccessivamente fertili, che impediscano una crescita eccessiva della spiga e il suo conseguente indebolimento.

Fino a qualche anno fa era un cereale a rischio erosione genetica, ma grazie alle indicazioni di coltivazione della Regione Toscana e al conseguimento del marchio IGP, negli ultimi anni le coltivazioni di farro di Garfagnana si sono ampliate fino a raggiungere qualche ettaro e la richiesta del mercato è aumentata. Tuttavia, si tratta pur sempre di appezzamenti molto piccoli e frammentati: il territorio garfagnino non consente grandi estensioni e la sua sussistenza si basa da sempre su produzioni piccole e diversificate.

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Garfagnana Coop, il Consorzio dei Produttori di Farro della Garfagnana, ha realizzato a San Romano un centro unico per la lavorazione, il confezionamento e lo stoccaggio del farro, in modo tale da dividere i costi tra i singoli produttori e garantire la sostenibilità economica della produzione. Il presidente Lorenzo Satti ci spiega le problematiche di coltivazione e di sostenibilità, per poi mostrarci l’impianto di produzione dei cereali e delle farine; qui, l’80% dell’energia impiegata è di origine fotovoltaica.

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La tendenza alla multifunzionalità è incarnata perfettamente dal Consorzio: qui si producono anche legumi (che vengono alternati nei terreni destinati al farro secondo il metodo della rotazione delle colture), farina di neccio D.O.P. (ossia di castagne), farina di grano saraceno e prodotti lavorati come biscotti, pasta secca e confetture, sempre a partire da materie prime locali.

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Il Consorzio riunisce 19 soci conferitori, ai quali si aggiungono altri conferitori locali, ed ha il compito di fissare un prezzo comune di acquisto e di vendita. Prezzo che è inevitabilmente più elevato rispetto ad un farro comune di pianura, sia per la diversa qualità che per la maggiore difficoltà di coltivazione, acuita negli ultimi anni dai mutamenti climatici in atto.

Un progetto che ho trovato molto interessante riguarda il recupero di piccoli appezzamenti a ridosso del Serchio, dove sono stati ripristinati vecchi muretti a secco a protezione del terreno dalle inondazioni e sono stati piantati legumi di vario tipo. Poiché le sponde del fiume sono proprietà comunale, in passato, questi appezzamenti erano coltivati da chi non aveva possedimenti nè terre in affitto: così, tutti potevano avere di che vivere. In pratica si tratta di un doppio recupero: di tipo storico-paesaggistico e colturale.

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Inizia a piovere proprio quando dobbiamo inerpicarci lungo il sentiero acciottolato che sale alla Fortezza delle Verrucole, presso San Romano in Garfagnana. Ed è un vero peccato, perché da quassù si gode di un panorama meraviglioso.

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La fortezza, fondata tra il X e il XI secolo dalla famiglia dei Gherardinghi, è una cittadella in pietra costituita da due rocche, una quadrata e una circolare unite da un camminamento; l’assetto attuale le fu dato dagli Este, che intorno alla metà del ‘400 se ne appropriarono dopo un periodo di abbandono seguito al dominio lucchese e a quello della famiglia Malaspina.

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blogtour garfagnana-21Acquistata dal Comune di San Romano, la fortezza oggi è visitabile e resa viva da tante iniziative per adulti e bambini. Il giovane Diego, vestito di abiti medievali, è la nostra guida: con i suoi modi semplici e il volto pulito, cattura subito la nostra attenzione, raccontando la vita quotidiana del medioevo, gli usi alimentari, gli aspetti bellici e più propriamente storici. Attraverso le sue parole la Storia torna davvero viva: è una guida colta e al tempo stesso chiara e coinvolgente.
Quello della Fortezza delle Verrucole è un esempio perfetto di valorizzazione, possibile solo quando la passione e la professionalità di giovani formati da anni di studio ed esperienza incontrano Amministrazioni locali sensibili e pronte ad impegnarsi attivamente nella promozione territoriale. Con tutte le realtà storico-archeologiche da valorizzare in Italia, l’auspicio è che questo modello possa trovare applicazione in tanti altri siti. Me lo auguro davvero.

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Il clima tempestoso ci aiuta ad immedesimarci nell’atmosfera medievale, e avvolti nei nostri pesanti tabarri affrontiamo le poche centinaia di  metri che ci separano dall’altra parte della fortezza, che ospita la Taverna del Ratto Guerriero. Ci accoglie un’ostessa in costume medievale, che ha preparato per noi alcune bevande antiche da degustare insieme ad una sostanziosa spongata, torta di frutta secca, canditi e miele.

Sidro: bevanda alcoolica a base di mele fermentate.
Ippocrasso: vino in cui vengono fatti macerare aromi e spezie (il nome deriva dal medico greco Ippocrate, perché nel Medioevo i medicamenti e le erbe curative venivano somministrati con il vino).
Idromele: bevanda alcolica a base di acqua e miele.
Ambrosia: liquore a base di erbe.

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Corroborati dai liquori medievali, riscendiamo quando è ormai l’imbrunire e le vette sono a malapena distinguibili tra la foschia e l’umidità incalzante. Il passaggio all’Osteria delle Verrucole è breve. Qui ceniamo con piatti tipici locali,  preparati in gran parte con prodotti del Consorzio dei produttori di farro: tagliatelle di farro con salsa di noci, polenta al ragù e dolci a base di farro e mele.

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Dopo una notte ristoratrice ospiti dell’Hotel La Lanterna, il mattino seguente, sotto ad un cielo ormai sereno, ci dirigiamo a visitare la sezione della Banca del Germoplasma a La Piana di Camporgiano. La direttrice, Fabiana Fiorani, ci illustra il progetto regionale che mira alla tutela e valorizzazione di antiche varietà locali di piante e alberi da frutto, attraverso un recupero attivo.

blogtour garfagnana-33Nella sezione di Camporgiano, inaugurata nel 2008 grazie ad un accordo tra l’Unione dei Comuni e la Regione Toscana, le varietà vegetali vengono conservate sia ex situ, cioè sotto forma di semi nelle celle frigorifere, sia in situ come piante vive, nel terreno tutto attorno al piccolo edificio. Ci sono poi i numerosi coltivatori custodi, volontari che adottano una o più varietà vegetali, piantandole nel loro terreno (almeno 3 esemplari per ogni varietà) per proteggerle dalle contaminazioni, contribuendo così a contrastarne la scomparsa.

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Il recupero delle varietà, a Camporgiano, è avvenuto in maniera molto naturale, chiedendo ai bambini delle scuole di portare i semi delle piante che i nonni coltivano nell’orto e chiedendo loro i modi di uso tradizionali di quelle stesse piante, così da recuperare non solo il vegetale ma anche un insieme di saperi e di modi di consumo.
Così, nel terreno adiacente alla Banca del Germoplasma, troviamo mele lucchesi e mele casciane, il fagiolo fico, il pomodoro fragola, il cavolo di Tresillico, la mela del Giappone (una località della Garfagnana) E poi la cosiddetta pera di figura, bellissima ed enorme ma non adatta al consumo da cruda…solo per figura, quindi!

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Le varietà di piante recuperate con il contributo della comunità vengono diffuse e distribuite a piccolo raggio tra i coltivatori locali. Le sementi, però, non possono essere vendute perché non sono iscritte al registro comunitario delle varietà, ma solo in quello regionale. Il processo per renderle commercializzabili, però, è lungo e tortuoso, oltre che avversato dai grandi produttori sementieri, che considerano progetti di questo tipo come possibile concorrenza.

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Nel centro della Piana c’è anche una piccola superficie vitata, con alcuni vitigni che provengono da Francia e Piemonte e 20 di origine locale. Poiché in Garfagnana la vocazione vitivinicola molto bassa, per secoli i vitigni locali non sono stati sostituiti con nuove varietà che garantissero una resa maggiore; la produzione di vino è sempre rimasta limitata al consumo familiare, per il quale le varietà autoctone andavano più che bene.
Per ogni varietà del centro vengono oggi fatte microvinificazioni ed è probabile che a breve potremo trovare sul mercato uno spumante proveniente dalla Piana, visto che è in fase di elaborazione un protocollo per farlo registrare e poterlo commercializzare.

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Un aspetto fondamentale di questa sezione della Banca del Germoplasma – che si affianca alle altre 11 sul territorio toscano – è lo stretto legame con il territorio e con la comunità locale, che ne fa un organismo vivo, dove si praticano attività con le scuole e si organizzano vari corsi legati alle attività agricole. Il senso di comunità si respira forte in Garfagnana, ovunque, perché spesso è proprio l’isolamento a creare un forte senso di appartenenza, e l’agricoltura qui ha ancora una connotazione sociale molto spiccata.

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Di cose da raccontare ne avrei ancora molte, ma per oggi interrompo qui. Vi basti sapere che la prossima volta andremo in un luogo magico in cui il tempo si è fermato…e non è solo un modo di dire!
Vi lascio con una zuppa garfagnina, l’ideale per le prime serate fredde. Ovviamente, a base di farro. Buon appetito!

N.B.: vorrei ringraziare tutte le persone che hanno contribuito all’organizzazione del blog tour e che ci hanno accolto con tanto entusiasmo e passione: Andrea Bertucci (titolare dell’Osteria Vecchio Mulino), Paolo Fantoni (presidente Unione dei Comuni), Sandro Fioroni (dirigente Unione dei Comuni), Pier Romano Mariani (sindaco San Romano in Garfagnana), Diego e Giulia Micheli (Fortezza delle Verrucole), Antonella Poli (responsabile dell’Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica Garfagnana), Annarita Rossi (organizzazione blog tour), Lorenzo Satti (Garfagnana Coop), Andrea Tagliasacchi (sindaco Castelnuovo di Garfagnana).

ZUPPA DI FARRO ALLA GARFAGNINA

Porzioni: 2       Tempo di preparazione: 20 minuti       Tempo di cottura: 1 h + 20′

Ingredienti

  • 100 g fagioli borlotti secchi (io ho usato i fagioli dall’occhio)
  • 80 g farro
  • 70 g cipolla
  • 40 g carota
  • 40 g rigatino (pancetta)
  • 2 rametti di rosmarino
  • olio extravergine d’oliva
  • sale

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Procedimento

Mettete a bagno i fagioli per 10 ore circa.
Sciacquateli e cuoceteli in abbondante acqua fredda per circa un’ora, insieme a due rametti interi di rosmarino. Togliete il rosmarino, mettete da parte un paio di cucchiai di fagioli e frullate il resto.
Tagliate a dadini la cipolla e la carota, della dimensione che preferite (a me piace che si sentano anche una volta che la zuppa è cotta), soffriggeteli in due o tre cucchiai di olio evo, unite la pancetta tagliata a listarelle e dopo un paio di minuti il passato di fagioli. Salate, e unite il farro, facendolo cuocere per circa 20 minuti (o secondo il tempo riportato sulla confezione: non sono tutti uguali!).
Se il passato fosse rimasto troppo denso unite un po’ di brodo o di acqua calda salata durante la cottura.
Completate con i fagioli interi messi da parte e completate con un giro d’olio.

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Note:

  • il soffritto tradizionale per la zuppa garfagnina prevede anche sedano, basilico aglio e prezzemolo, almeno secondo quanto riportato da G. Righi Parenti ne La cucina toscana, p. 374.