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Oggi mi sento politically incorrect, e parlo di puzzi.
Stiamo sempre a decantare aromi, effluvi, profumi celestiali e delicati, ma – via – cerchiamo di essere realisti: il mondo è fatto anche di puzzi.
Che sia argomento di cattivo gusto in un foodblog? Forse. Eppure in cucina i puzzi hanno il loro ruolo.
Dimenticate la torta in forno? L’odore di bruciato arriva a ricordarvelo – perfido – quando ormai è troppo tardi.
Il latte o la panna stanno per scadere? Per capire se sono ancora buoni basta annusarli.
Della vita del vicino riservato e sfuggente non trapela nulla, neanche un piccolo particolare? Ma che tutte le sere frigga anche le suole delle scarpe lo sapete con certezza.
Fuori di casa, poi, veniamo travolti da una torma di effluvi che nulla hanno di piacevole: i gas di scarico delle macchine, il catrame dell’asfalto che stanno rifacendo davanti casa, l’odore di benzina del distributore (e quelli a cui piace, per me, sono dei sadici).
Anche se forse – superiamo un altro tabù – gli odori che ci infastidiscono di più sono quelli delle altre persone. Soprattutto quelle che che devi vedere tutti i giorni, e a volte ti vengono vicino vicino e hanno più puzzi che capelli in testa.
La categoria peggiore, però, è costituita da quelli che gli puzzano i pensieri. Sì, perché non c’è niente di peggio della malafede, del sospetto, del vedere del torbido ovunque.
Sono quelli che ti guardano storto, quelli che se un discorso ha una possibile interpretazione negativa la colgono e, se non ce l’ha, sono in grado di trovarla.
Quelli che campano male, che pensano male, che attribuiscono cattivi pensieri a tutti perché sono gli unici che albergano nella loro mente.
Quelli che sono neri dentro, e per questo assorbono tutta la luce, proiettando solo negatività.
E non importa se sono eleganti e profumati, se si cospargono di crema alla lavanda e si spruzzano essenze di gelsomino, se hanno mani curate e capelli freschi di coiffeur: il puzzo dei loro pensieri annulla tutto il resto. Da evitare come la peste.
La ricetta viene da questo blog molto bello, dal quale avevo preso anche i biscotti con semi, cardamomo e curcuma. Mi ha incuriosito per la presenza del sesamo e della tahina, una pasta di semi di sesamo tostati che mi piace molto, usata ampiamente nella cucina mediorientale. Io la compro da NaturaSì ma suppongo possiate trovarla anche nei supermercati ben forniti, presumibilmente nel reparto di cibi etnici.
Rispetto all’originale ho ridotto lo zucchero e ho usato il latte di riso al posto di quello di cocco (low fat), troppo dolce e “sfacciato” per i miei gusti. La torta risulta comunque dolce e il sapore di cocco si sente bene.
Non fatevi spaventare dalla presenza della tahina, invece, perché non è affatto invasiva. La prossima volta, anzi, proverò a metterne un po’ di più.
L’originale prevedeva semi di sesamo neri, che io non avevo. All’interno ho usato quelli bianchi, per lasciare il sapore inalterato; in superficie, invece, ho scelto i semi di papavero, per mantenere l’effetto cromatico a contrasto che mi aveva colpito sin dall’inizio.
E’ una torta che rimane umida e soffice; il semolino non ha bisogno di previa cottura perché si gonfia e ammorbidisce durante le ore di riposo in frigo. Secondo me è ottima con un tè verde, come merenda pomeridiana…ma sulla scelta del tè potete chiedere consiglio a Marina, una vera esperta.
TORTA AL SESAMO, TAHINA E SEMI DI PAPAVERO
Porzioni: 8-10 Tempo di preparazione: 15 minuti + 4 ore di riposo Tempo di cottura: 50 minuti
Ingredienti
- 375 g semolino
- 60 g cocco disidratato in scaglie
- 420 ml latte di riso
- 80 g burro a temperatura ambiente
- 180 g zucchero semolato
- 3 uova grandi
- 1 cucchiaio raso di tahina
- 1 cucchiaio e mezzo di semi di sesamo
- 8 g lievito in polvere (mezza bustina)
- un pizzico di sale
- un cucchiaio di semi di papavero
Procedimento
Lavorate il burro e lo zucchero con un cucchiaio di legno fino. Quando il composto è morbido e cremoso, amalgamate bene la tahina e poi unite le uova una alla volta, facendole assorbire (potete anche mescolare il tutto con il robot, ma usando la spatola e non le lame).
In una ciotola capiente mescolate il semolino, il cocco, i semi di sesamo, il sale e il lievito. Unite metà del composto secco a quello di burro, amalgamate con il latte e poi versate il resto. Mescolate bene, versate in uno stampo a cerniera precedentemente imburrato (diametro 20 cm), coprite con pellicola a contatto e mettete in frigo per almeno 4 ore, meglio se per tutta la notte.
L’impasto sarà molto liquido ma non vi preoccupate, si solidificherà con il passare delle ore. Se per caso il vostro stampo non tiene bene e dovesse fuoriuscire un po’ di liquido, mettetevi sotto dell’alluminio e abbiate fede.
Al momento di infornare, cospargete la superficie con i semi di papavero e cuocete a 175° per 50 minuti circa.
Note:
- io ho usato uno stampo da 18 cm perché volevo una torta bella alta, ma mi è avanzato un po’ di impasto che ho cotto a parte. Se lo avete, penso che l’ideale sia uno da 20 cm. In alternativa, potete fare la dose con 4 uova, aumentando gli altri ingredienti di 1/4 e usare uno stampo da 22 o 24.
- la torta rimane umida ma abbiate cura di controllare che l’interno sia cotto facendo la prova stecchino.
- se volete usare il latte di cocca, badate bene che sia quello low fat, ovvero liquido come il latte normale, che si trova a vendere in brick da un litro. NON usate quello denso e più grasso che si usa nella cucina orientale e che si trova a vendere in brick piccoli o in lattine perché otterreste una consistenza del tutto diversa.