Frollini all’olio d’oliva, cacao e rosmarino

E il tema del mese è…BISCOTTI!!!
Tutti i partecipanti dell’MTChallenge saranno felici, ne son certa. A chi mai non piacciono i biscotti?

Io ne sono affascinata, da sempre. Il mio primo libro di cucina (e l’unico, per i successivi vent’anni) insegnava a fare biscotti semplici e al tempo stesso impeccabili, con splendide illustrazioni e guide passo-passo. Avrei dovuto capirlo che era una premonizione.
Quando, appena più grande, andavo a fare compere con mia mamma in città, l’attrazione principale non erano i negozi ma il bar Cristallo, dove ci fermavamo sempre prima di ripartire. L’ingresso, un po’ pretenzioso, era già allora demodè, i soffitti salivano altissimi, la boiserie di legno scuro alle pareti lo rendeva serioso e mi intimidiva. Sulla destra, il bancone delle tentazioni: vassoi di pasticceria secca di tanti tipi che mi attendevano in bella mostra.
La mamma me ne comprava un sacchettino, li sceglievo uno per uno, tutti diversi, con il proposito di riportarne a casa almeno qualcuno. Ma il destino di quei biscotti era segnato: come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie, venivano spazzolati uno dopo l’altro, con metodico gusto e intensa soddisfazione.
Ricordo il sapore burroso che velava il palato e la loro dolcezza, con quel pizzico di sale che spingeva a volerne ancora. Le briciole sparse in fondo al sacchetto, la sensazione di leggera untuosità sulla punta delle dita. Una goduria suprema.

Questa passione mi ha accompagnato negli anni, tanto che questo blog pullula di biscotti di tutti i tipi. Le combinazioni sono praticamente infinite e io non mi stanco mai di provarne di nuovi.

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Ma torniamo al dunque. I vincitori, dicevo, quei due genietti di Dani e Juri del blog Acqua e menta, che vi svelano tutti i segreti della pasta frolla, in base delle indicazioni dei più grandi pasticceri.
Perché i frollini sembrano banali, e invece non lo sono.
Avete mai notato quanto possono essere diverse le frolle? Eppure gli ingredienti di partenza sono sempre gli stessi: uova, farina, burro e zucchero. Ma cambiano le proporzioni, le tipologie, i metodi di lavorazione: e il prodotto finale varia di conseguenza.

La sfida comprende 3 categorie: frolla classica, frolla montata e frolla sableè. Per iniziare, ho deciso di provare una frolla che definirei classica, ossia quella in cui si impastano tutti gli ingredienti insieme. Ma, in onore a Dani, che è allergica ai latticini, ho usato l’olio al posto del burro.
La sostituzione non è automatica perché l’olio contiene più materia grassa del burro ma manca di acqua, che quindi deve essere aggiunta in altro modo per ottenere lo stesso risultato. Il sapore finale, e in parte anche la consistenza, saranno diversi da una frolla al burro. L’ideale è usare un olio extravergine di oliva molto delicato o sostituirne una parte con olio di riso, in modo da stemperarne il sapore.

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Per quanto riguarda la tecnica, ho usato il metodo Montersino così come riportato da Juls’ Kitchen. Per poter usare in maniera appropriata l’olio, oltre a proporzionare le quantità rispetto al burro bisogna renderlo simile anche nella consistenza, ossia renderlo più solido e corposo. Il principio usato è quello alla base della maionese, ossia montare i tuorli con l’olio e poca acqua fino ad ottenere un grasso semi-liquido da usare nell’impasto. E’ un metodo semplice, che richiede poco tempo e…funziona!

L’associazione di ingredienti di questi biscotti potrà sembrare insolita, ma cacao e rosmarino si trovano spesso associati nei dolci e mi avevano sempre incuriosito. Adesso so che mi piacciono. L’esito è un biscotto che risulta poco dolce, vagamente aromatico e con una punta di freschezza.

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FROLLINI AL CACAO, OLIO D’OLIVA E ROSMARINO

Dosi: 30-35 biscotti       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura: 10′ + 10′

Ingredienti

  • 250-260 g di farina 00
  • 20 g di cacao amaro
  • 100 g di zucchero semolato
  • 115 g di olio extravergine di oliva delicato
  • 40 g di tuorli (circa 2 medi)
  • 20 piccoli aghi di rosmarino
  • un pizzico di sale
  • 25 ml di acqua

Procedimento

Tritate gli aghi di rosmarino al coltello, poi passateli al mixer con lo zucchero fino a tritarli completamente.
In una terrina setacciate la farina e il cacao, mescolandoli.
Montate con il minipimer i tuorli e l’acqua fino ad avere una massa gonfia e spumosa, poi unite l’olio a filo continuate a montare per 3 o 4 minuti. Unite lo zucchero e il sale e mescolate bene con una forchetta, poi versate il composto al centro della ciotola con la farina e impastate con la forchetta. Quando tutta la farina sarà assorbita, rovesciate l’impasto sulla spianatoia e lavorate velocemente con la punta delle dita. E’ essenziale per una buona riuscita non lavorare troppo l’impasto e non riscaldarlo, pena la separazione del grasso in cottura. Avvolgete nella pellicola e mettete in frigo almeno un’ora.

Stendete l’impasto sulla spianatoia infarinata allo spessore di circa 5 mm, ricavatene i biscotti della forma desiderata e disponeteli su una placca rivestita di carta forno. Mettete in frigo per 15 minuti, poi cuocete nel forno statico a 170°C per 10 minuti.

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Note:

  • la dose di farina è leggermente approssimativa perché le variabili sono molto (compresa l’umidità dell’aria) e potreste averne bisogno di poca più o poca meno. Considerate che l’impasto deve risultare ben modellabile e non duro, ma al tempo stesso non troppo untuoso.
  • Dani suggerisce di usare lo zucchero a velo perché più facile da amalgamare al resto, visto che nella ricetta ci sono pochi liquidi. Volendolo frullare con il rosmarino ho pensato che con il semolato avrei ottenuto lo stesso risultato, invece non è venuto proprio come lo zucchero a velo e qualche granellino si vede in superficie.
  • sebbene l’olio venga inizialmente montato con i tuorli, credo che la frolla rientri comunque nel metodo classico, poiché non prevede il montaggio dello zucchero con il grasso prescelto.

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Con questa ricetta partecipo all’MTC n. 56

sfida

Chiffon cake al caffè e cardamomo

Aiutatemi a dire soffice. Ma non soffice, vaporosa. Ma non vaporosa, una nuvola. Ci sarà una ragione se si chiama Chiffon Cake, no?

La torta, americana al 100%, ha una storia (relativamente) vecchia e senza dubbio interessante. Il suo creatore di chiama Harry Baker (che in inglese significa fornaio…una coincidenza?!), un semplice assicuratore con la fissa per la pasticceria. Nel suo laboratorio di Los Angeles, a partire dal 1923, lavorò con determinazione e puntigliosità all’elaborazione di una torta soffice a partire da un composto di uova montate. Dopo 4 anni ottenne una torta alta e soffice proprio come la desiderava.

La Baker Cake (così si chiamava inizialmente) ebbe il suo battesimo nel ristorante più alla moda di Los Angeles, frequentato dall’olimpo delle star di Hollywood: il Brown Derby, dalla curiosa e ormai storica copertura a calotta, o meglio, a bombetta (questo infatti è il significato della parola derby).

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Se le prime versioni della torta erano aromatizzate alla frutta, con il tempo ne comparvero di innumerevoli tipi, invenzioni ardite che solo la fantasia e la spregiudicatezza americana potevano partorire.

Per 20 anni, Baker mantenne segreta la ricetta della sua torta, ma nel 1947 vendette la formula alla General Mills, colosso della produzione dolciaria industriale, che la utilizzò per farne una miscela per torte fatte in casa, che in America corrispondono quasi sempre ai preparati istantanei venduti in busta.

Con il lancio della torta sul grande mercato, fu cambiato il nome in Chiffon Cake, per evocare la morbidezza della torta a partire dall’analogia con il famoso tessuto, impalpabile e raffinato.

Se la storia della Chiffon Cake vi incuriosisce, soprattutto in relazione all’architettura e alla società americane degli anni Venti, vi rimando al bellissimo post di Monica, del blog Cake Garden Project, da cui ho tratto tutte queste notizie (nonchè la foto del Brown Derby).

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La consistenza peculiare della torta è data dalla presenza di molti albumi, montati a neve fermissima, e dalla presenza di olio di semi invece che burro, che fino a quel momento era stato il grasso principale dei dolci statunitensi.
La caratteristica tipica della Chiffon Cake è lo sviluppo in altezza, generalmente spropositato, che ho sempre letto come un simbolo più o meno consapevole del gusto americano per il gigantismo e la sovrabbondanza. La torta sembra quasi una sfida alla gravità, con il suo innalzarsi in maniera inverosimile, ma senza diventare troppo dura e compatta, e restando invece incredibilmente soffice e setosa.
Essenziale per la sua realizzazione è l’apposito stampo in alluminio, alto, con foro centrale e con piedini alla base, come questo. Una volta sfornata, la torta viene rovesciata e i piedini la tengono sollevata dal piano del tavolo, così che la forza di gravità la tiri verso il basso, facendola “crescere” ulteriormente. Per questo motivo la tortiera non va imburrata né infarinata, affinché l’impasto resti un po’ attaccato e trattenga il peso della torta. Una volta raffreddata si staccherà facilmente da sola, come per magia.

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Non avendo lo stampo apposito, ne ho usati due più piccoli, sempre in alluminio, ma senza buco centrale nè piedini.
Il dolce che vedete in foto era nello stampo più basso e dopo mi sono pentita di non aver fotografato l’altro, che forse sarebbe stato più rappresentativo della Chiffon Cake. Ma ormai è andata.
Anche la foto dell’interno lascia un po’ a desiderare e non rende affatto la consistenza della torta.
Insomma, c’è un’unica soluzione: provare a farla! O passare a prendere il tè a casa mia…

CHIFFON CAKE AL CAFFE’ E CARDAMOMO

Porzioni: 12       Tempo di preparazione: 15 minuti       Tempo di cottura: 50′ circa

Ingredienti

  • 300 gr di farina 00
  • 300 gr di zucchero semolato
  • 130 ml di olio di semi
  • 180 ml di caffè della moka
  • 300 g di albumi (circa 10)
  • 2 tuorlo
  • 6-7 baccelli di cardamomo
  • 1 bustina di lievito
  • un pizzico di cremor tartaro

Per guarnire:

  • 400 ml di panna fresca
  • chicchi di caffè

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Procedimento

In un mortaio, pestate i semi di cardamomo. Setacciate la farina con il lievito, unite il cardamomo, lo zucchero, l’olio e il caffè, mescolando bene con una forchetta. Unite anche il tuorlo e mettete l’albume con gli altri che avete da parte. Montateli a neve ferma con un pizzico di cremor tartaro (serve a rendere più stabile la schiuma), poi uniteli delicatamente al resto del composto, aiutandovi con una spatola. Versate nello stampo senza imburrare e cuocete a 170° per 50 minuti circa (prova stecchino). Sfornate e capovolgete, poggiando il bordo dello stampo su due sostegni, in modo che non tocchi il piano del tavolino. Aspettate che si raffreddi (almeno un’ora, meglio due), poi “aiutate” leggermente il distacco facendo scorrere un coltello a lama liscia tra il dolce e le pareti dello stampo. Capovolgete nuovamente, scuotete delicatamente e il dolce si staccherà. Guarnite con la panna fresca montata e i chicchi di caffè.

Note:

  • Dose per uno stampo con foro centrale, da 28 cm di diametro come questo, oppure per due stampi di 16 cm diametro alla base, leggermente svasati, e alti 10 cm.
  • Nella ricetta originale (o quella che dovrebbe esserlo), il numero degli albumi è pari a quello dei tuorli. Non ho idea perché io mi fossi segnata questa ricetta con molti più albumi, né da dove l’avessi presa, ma posso dire senza ombra di dubbio che…funziona! Quindi,ho deciso che sarà la mia personalissima Chiffon Cake.
  • Io l’ho fatta anche solo con il caffè, omettendo il cardamomo. Rimaneun gusto più delicato e, se possibile, se ne mangia ancora di più senza nemmeno rendersene conto.

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Lo sfratto dei Goym di Pitigliano

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Questo mese il tema dell’MTChallenge non è un piatto ma un ingrediente: il miele. Eleonora e Michael, vincitori della scorsa sfida con la loro penicilina ebraica, hanno pensato di farci questo regalo.

Innegabile che il miele abbia un fascino tutto particolare. La sua produzione è avvolta da una magia che lega assieme api, ambiente e uomo in un triangolo misterioso e quasi metafisico.
La varietà e la ricchezza di mieli esistenti incuriosiscono e ispirano, ognuno con sapori e proprietà specifici, ognuno che rispecchia un preciso ecosistema, quello nel quale hanno vissuto le api operose che l’hanno prodotto.
E poi ci sono le sue proprietà benefiche, la mutevole consistenza che va dal fluido al cristallino, la viscosità densa che cola in morbidi nastri, il colore chiaro o ambrato, traslucido o denso, che ipnotizza e cattura, raccontando di mondi segreti e tempi sospesi.

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Nel post di Eleonora e Michael troverete tante informazioni utili su come utilizzare il miele in cucina: vi consiglio davvero di leggerlo, non troverete niente di scontato o banale.
Ho trovato molto ben fatto anche il sito a cura dell’Unione Nazionale Apicoltori, dove potrete togliervi tutte le curiosità sui vari tipi di miele e su prodotti meno conosciuti come il polline, il propoli o la pappa reale.
Per chi invece ama l’immediatezza, l’infografica di Daniela vi spiega in un colpo d’occhio come non sbagliare abbinamenti: praticamente un prontuario da appendere in cucina.

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Il problema di questa sfida è che si possono fare soltanto due ricette, una dolce e una salata. Ma io sono entrata in fissa, travolta da decine di idee, ognuna molto diversa dall’altra. Avevo praticamente deciso per una torta (che prima o poi, comunque, farò) e poi, non so come, mi sono ritrovata in tutt’altra direzione e ho capito che, per la sfida di Eleonora e Michael, era la ricetta giusta.
E anche per me. Perché parla di storia, di territorio, di tradizioni che si incontrano, si scontrano e poi si mescolano. Perché è un dolce semplice e basico, e perché il miele ha campo libero per essere valorizzato al meglio.

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Lo sfratto è un dolce di forma cilindrica, lungo 25-30 cm, formato da un guscio asciutto e da un ripieno a base di miele e noci. E’ un presidio Slow Food e non ne esiste una produzione industriale: potete acquistarlo soltanto in due piccoli forni nel borgo di Pitigliano, in Maremma.
La sua storia risale a diversi secoli fa, quando a Pitigliano esisteva una grande comunità ebraica, formatasi sin dal XVI secolo per via delle persecuzioni dei pontefici e di Cosimo II de’ Medici, che costrinsero la popolazione che viveva nelle città a ritirarsi in aree più marginali. Una delle aree di elezione naturali era la Maremma. Isolata, selvaggia, con ampi spazi e poca popolazione, sembrava un buon posto in cui vivere in tranquillità.
Ma all’inizio del XVII secolo, Cosimo II volle creare anche qui dei ghetti dove segregare gli ebrei; nella città di Pitigliano e nei borghi limitrofi le autorità passarono casa per casa, picchiando con dei bastoni sulle porte delle case degli ebrei, costringendoli a trasferirsi in un ghetto. Dopo circa un secolo, gli ebrei di Pitigliano, crearono questo dolce che ricorda un bastone proprio per ricordare questo doloroso episodio della loro storia: lo sfratto eseguito dai Goym (ovvero i non ebrei).

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Una delle prime versioni che ho trovato è quella di Silvia, che conosco e so essere molto in gamba, per cui non ho avuto dubbi ad affidarmi alla sua ricetta. Mi ha convinta subito perché parla di un dolce dall’involucro esterno friabile e quasi secco, e pertanto presumibilmente privo di uova. Il dolce che ricordo di aver assaggiato era proprio così, si frantuma quasi nel tagliarlo e il ripieno spesso se ne distacca, creando quelle bricioline che mi piace tanto raccogliere con le dita.
Altre ricette usano uova, burro e latte ma credo che siano aggiunte e modifiche successive, fatte per rendere il dolce più ricco, morbido e appetibile. Nella pagina di Slow Food dedicata allo sfratto, si citano soltanto farina, vino bianco e poco zucchero. Io ho messo anche un po’ d’olio nell’impasto e invece non l’ho usato per spennellare alla fine.

Nel ripieno la fanno da padroni le noci e il miele. Io ho scelto un miele di sulla, produzione tipicamente italiana e piuttosto difficile da trovare, che mi ha fornito babbo Claudio. La sulla è una pianta della famiglia delle leguminose che fiorisce tra maggio e giugno; viene coltivata come foraggio ma si trova anche in forme inselvatichite o spontanee.
E’ un miele che cristallizza piuttosto rapidamente, assumendo in questo processo un colore beige chiaro, quasi avorio. Il sapore è mediamente dolce, non troppo caratterizzato, con vaghi sentori vegetali e floreali, anche se per sentirli ci vuole un palato molto raffinato, che io temo di non avere.
L’ho scelto proprio perché non troppo invasivo: costituisce il 50% del ripieno e se fosse stato troppo dolce sarebbe risultato stucchevole, se troppo caratterizzato avrebbe alterato l’equilibrio complessivo dello sfratto.

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SFRATTO

Porzioni: 2 sfratti       Tempo di preparazione: 30 minuti       Tempo di cottura: 20′ + 25′

Ingredienti

Per l’involucro

  • 150 g di farina 00
  • 30 g di zucchero semolato
  • 50 ml di vino bianco
  • 40 ml di olio extravergine di oliva
  • un pizzico di sale

Per il ripieno

  • 150 g di miele di sulla (o comunque un miele piuttosto dolce e non troppo aromatico)
  • 150 g di noci spezzettate grossolanamente
  • scorza di un’arancia
  • poca noce moscata
  • un cucchiaino di semi di anice pestati (facoltativo)

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Procedimento

In un pentolino dal fondo spesso fate cuocere il miele per circa 20 minuti, a fuoco molto basso. Verso la fine unite la noce moscata, la scorza d’arancio, i semi di anice e le noci. Rimestate e fate raffreddare.

Setacciate la farina, unite lo zucchero e il sale, poi versate il vino e l’olio e iniziate ad impastare con una forchetta. Procedete a mano, lavorando brevemente l’impasto sulla spianatoia. Avvolgete nella pellicola e fate riposare mezz’ora.

Nel frattempo, quando il composto di noci è un po’ raffreddato ma ancora non del tutto indurito, modellatelo con le mani unte di olio, formando due salsicciotti che appoggerete su un foglio di carta forno. Aiutatevi con la carta cercando di renderli più cilindrici che potete.

Dividete l’impasto a metà e stendetelo con il mattarello allo spessore di 2-3 mm, appoggiatevi sopra un cilindro di noci e avvolgetevi intorno la pasta. Se avete steso la pasta piuttosto spessa basterà fare un solo giro, facendo sovrapporre i bordi per chiuderla bene. Se invece la vostra sfoglia è molto sottile dovete fare due giri, altrimenti rischierà di rompersi. Chiudete le estremità del bastone eventualmente ritagliando la pasta in eccesso e sigillando bene i lembi.

Cuocete a 180°C per 25 minuti circa, fino a che la superficie non inizia a colorirsi. Far raffreddare, poi tagliate a tocchetti con un coltello dalla lama affilata.

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Con questa ricetta partecipo all’MTChallenge n. 54

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